Eravamo rimasti in due, io e Franco. Il terzo compare di gite domenicali Giampaolo aveva abdicato. Salivamo tranquillamente la salita di Castellina in Chianti discutendo sul più e del meno, di lavoro( ex lavoro ormai per me), di famiglia, di moltipliche e rapporti, di politica, di Fiorentina ..
Franco l’avevo conosciuto alla cronometro sociale della nostra banca, poi ci eravamo rivisti da un meccanico di biciclette. Parlando di bici avevamo capito che, per entrambi, la passione del pedalare era veramente una questione esistenziale. Tutti e due, io per problemi di ipertensione, lui per il problemi di diabete, avevamo necessità di fare sport con una certa continuità. Io, per la verità coltivavo tale passione da più di trenta anni e ero stato iscritto anche a diversi gruppi sportivi, avevo partecipato a moltissime gran fondo, la domenica con i miei compagni bagarravo spesso anche andando oltre i miei limiti. Con miei vecchi amici ci eravamo cimentati in varie imprese sulle Dolomiti, sulle Alpi Francesi, sui Pirenei. Poi, per problemi personali, ero stato quattro anni quasi fermo. Ingrassato più di 10 kg, punta massima 95 kg, montavo ogni tanto sul mezzo e percorrevo una cinquantina di chilometri senza entusiasmo e con gran fatica. La mia Merak, 8,30 di peso, meritava certamente un atleta migliore.
Quando conobbi Franco avevo ripreso a pedalare con più costanza e il mio peso era notevolmente diminuito. I miei vecchi compari mi avevano più volte ricercato per farmi iscrivere di nuovo alla loro società sportiva, alcune volte ero andato anche con loro e non avevo per niente sfigurato, malgrado il mio scarso allenamento. Ma effettivamente qualcosa era cambiato in me, vicino ai 60 anni non avevo più voglia di gettarmi nella mischia, di fare sempre gli stessi percorsi, controllare i tempi e le medie.
Cominciai a fare da solo percorsi nuovi, a battere strade sconosciute, a non attaccarmi più alle ruote degli altri, a non vedere più il cardio oltre i 135 battiti. Malgrado ciò, le mie uscite si allungavano sempre più, mentre le mie medie diminuivano. Era questo il mio nuovo ciclismo, un vero cicloturismo.. ma abbastanza impegnativo.
Quando capimmo che avevamo le stesse idee cominciammo a uscire regolarmente tutti i fine settimana, a volte solo il sabato, altre volte anche la domenica e sempre alle nostre medie ma su percorsi sempre diversi. Franco diceva sempre –abbiamo un andatura da cammello- Io malgrado il tempo libero, dovuto al nuovo stato di pensionato, non facevo quasi mai uscite infrasettimanali aspettavo solo i fine settimana per percorrere quelle belle strade del Chianti, in compagnia parlando e discutendo. I nostri percorsi si allungavano sempre più e qualche sabato addirittura abbiamo pedalato tutto il giorno riuscendo anche a percorrere oltre 200 km. Anche d’inverno la pedalata del sabato e/o domenica era un appuntamento irrinunciabile. Qualche mattina ci è voluta tanta volontà per levarsi dal letto calduccio, imbacuccarsi e uscire al vento, al freddo, a volte anche con la neve.
Entro breve ritornai sugli 87 kg che era il mio peso normale, poi riguardandomi un po’ anche nei pranzi, arrivai sugli 83, poi addirittura sotto gli 80. Con un allenamento non frequente ma costante, il peso molto soft della bici e la mia pancia quasi sparita, quella brutta fatica che toglie il gusto di pedalare era sparita ormai da tempo, era rimasta, in effetti, solo quella fatica gradevole che fa gustare in pieno lo sport ciclistico. Pian piano senza accorgersene avevamo raggiunto un discreto stato di forma e spesso ci permettevamo anche di bagarrare con qualcuno. La forma aumentò ancora di più quando si aggregò a noi un altro collega, molto più giovane di noi. Causa il suo precario allenamento Giampaolo, 48enne, malgrado la differenza di età, alle prime uscite riusciva a mala pena a stare sulle nostre ruote, poi dopo poche volte diventò ovviamente lui l’uomo più in forma e anche noi ci adeguammo piano piano a quel ritmo più sostenuto. In tre, 168 anni, formavamo un trio ben affiatato. Giampaolo soffriva un po’ sulle lunghe distanze e non amava molto la bici per due giorni di fila, poi avendo molti altri interessi cominciò a saltare gli appuntamenti di fine settimana. Molte volte gli avevo detto - ma a te conviene ad andare con altra gente più giovane e con un passo più consono alla tua andatura, così ti allenerai molto meglio—. Dopo diverse volte che non si era più visto nè sentito , pensai- Avrà seguito senz’altro il mio consiglio-
Quella mattina sulla strada di Castellina incontrammo un gruppo di cicloturisti stranieri pieni di zaini e portapacchi. Ci domandammo come era possibile pedalare e fare km con quelle biciclette pesanti e con tutti quei fagotti. Noi, non l’avremo fatto mai! Ultime parole famose!
Su una delle innumerevoli curve sulla lunga salita di Castellina in Chianti, dopo essermi riappaiato a Franco – sarebbe bello fare un bel giro in bici in Corsica!—Avevamo spesso accennato un discorso per andare a fare qualche salita sulle Dolomiti, ma la Corsica era sempre rimasta per me una meta ciclisticamente ambita. Era ovvio che io intendessi il giro completo dell’isola francese.
-Sarebbe bello, sì! –ma alla curva successiva parlavamo già di altre cose.
Nella successiva uscita di fine settimana —e allora questa Corsica?—disse Franco-
Io devo decidere le ferie! Sembrava che fosse andata già in porto l’idea di quella escursione estiva.
Poi i soliti problemi di mogli, suocere malate, perplessità varie, infine un giorno la decisione. Andiamo dal dieci di giugno per una decina di giorni. Ma in che modo? Franco aveva un camper ma era impensabile che venisse affidato a qualcuno per fare da supporto ai due vecchietti.
Io e i miei vecchi compari avevamo sempre optato per una base in un hotel e poi due o tre giorni di bici con ritorno nel medesimo luogo, poi spostamento in altra zona. Per fare il giro completo dell’isola ciò non era possibile. Io mi stavo documentando su Internet e su una vecchia cartina che avevo acquistato durante una breve vacanza sull’isola di una ventina di anni prima. Più che andavo avanti nella lettura di resoconti di altri ciclisti più mi rendevo conto che non ci sarebbe bastato fare solo il giro orario di tutta la zona costiera ma era indispensabile effettuare anche qualche tappa nell’interno, l’idea di visitare paesini fra le montagne, scalare le medesime era per me e poi anche per Franco quasi obbligatorio. Però facevamo i conti con il chilometraggio e con i giorni a disposizione, non più di una decina. Come fare ? Io buttai giù un percorso di 9 tappe che comprendeva tutto il giro completo più due escursione interne nella zona di Corte, il Col de la Bavella e la mitica valle del Giussani. I chilometri ? un migliaio, cento al giorno. Considerando una media di 20 avevamo tutto il tempo di fare i turisti e godere di bagnetti in qualche baia interessante. Ma chi ci segue con l’auto? Chi porta i bagagli? Poi bisogna andare a Livorno a prendere il traghetto per Bastia, che si fa?
In un giorno di follia fu deciso; facciamo tutto in bici, senza nessun supporto di auto, si attrezza le biciclette e si parte da soli da Firenze, dunque nessun mezzo a benzina al seguito. Portare solo l’indispensabile, pochi ricambi, un pezzo di sapone di Marsiglia e via. Mi ricordai tutta la nostra pietà verso i cicloturisti stranieri che si vedono spesso attraverso le strade del Chianti. Le biciclette sembrano quasi non esistere, sempre sommerse da tutti gli zaini, sacchi a pelo, tende, guardaroba vario. Anche noi in quel modo! L’unica comodità che ci volemmo accordare fu la decisione di andare a dormire in hotel o in camere, quindi esclusione di camping, tende e sacchi a pelo, almeno le dormite in letti confortevoli, solo questa dunque l’eccezione ad una vacanza pazza da giovincelli! Quindi cicloturismo.. evoluto ma non spietato.
Da quel giorno cominciò una serie continua di pensieri, andar con bici da strada o con Mb? portare una zaino a tracolla, attrezzare la bici con borse, usare un portapacchi normale? Fascioni pesanti o normali E poi la lista delle cose da portare che ogni giorno faceva aumentare il peso di qualche etto, dopo dieci giorni eravamo quasi a 7 kg di bagagli. La cosa mi spaventava alquanto, il pensiero di utilizzare la mia vecchia Mb con 15 kg di acciaio e di dover spostare 22 kg non mi faceva dormire la notte. Per Franco non c’era alcun problema, ne ha quasi dieci di bici per tutti i percorsi, poteva scegliere tranquillamente quella più adatta. Io invece, o con quella da strada con 8 kg di alluminio lucente o con la Mb di 15 kg di acciaio pieno di graffi. Meno fatica, però più attenzioni con la bella Merak, più sudore ma molte meno premure con la vecchiaccia Marin. Alla fine la decisione -io preferisco venire con la mia giovane e bella fidanzata.. Franco invece—decise di lasciare a casa la sua fedele Avant al carbonio e partire in vacanza con una delle sue amanti più toste, una Daccordi un po’ stagionata ma sempre passabile malgrado i suoi 10 kg, però portati bene.
Una sera volli mandare un’Email al dileguato Giampaolo per sapere come andavano gli allenamenti con i sui pari età, lo informai anche della nostra decisione di fare il giro della Corsica.
Nella sua risposta capii che aveva un po’ abbandonato la bici, però l’idea del giro lo entusiasmò. Il sabato successivo era di nuovo con noi e da quel giorno non saltò un sabato, anzi cominciò ad allenarsi anche fra settimana, per me e Franco furono dolori. Un sabato ci comunicò che aveva risolto i suoi problemi per il periodo di ferie e che i corsi sarebbero stati tre.
Da allora in poi i nostri discorsi si concentrarono essenzialmente sui preparativi, anche se mancavano ancora quasi quattro mesi, non si parlava di altro. Riviste, cartine, navigazioni continue su Internet, percorsi che cambiavano ogni settimana, resoconti di altri audaci che ci invogliavano a passare anche da nuovi luoghi, per fare tutto quello che avevamo intenzione di vedere sarebbe occorso come minimo un mese. Alla fine cominciammo a mettere dei punti fermi, un po’ più con i piedi per terra, i giorni sarebbero stati al massimo 12, i km non più di 120 al giorno, e i luoghi obbligatoriamente da visitare…
A due mesi dalla partenza ci sentimmo anche con un altro collega, Fabio che lavorava con me. Lui era sì un vero atleta, trentenne praticante di triathlon agonistico, tutti i giorni in allenamento in bici o in piscina o a piedi. Parlando del più e del meno accennai anche a lui il progetto della Corsica pensando che avrebbe sorriso. Di solito gli agonisti snobbano i cicloturisti, in tal caso, oltre alla differenza mentale (agonismo/cammellismo) c’era anche la notevole differenza di età. Gli agonisti
non amano le strascicate ciclistiche, tutto al più possono fare un giro del genere solo se accompagnati da una macchina al seguito con tutto il materiale sopra e poi niente fermate, nè foto, solo pedalare guardando il tubolare posteriore della bici del compagno precedente, controllare la media che non deve scendere sotto i 30, i panorami, il mare, i paesini sono optionals. Il turismo si fa la sera dopo essersi lavati, massaggiati, riposati. Pensavo, ma non speravo, che Fabio fosse uno di questi. Sinceramente, l’idea di dover portare dietro tutti il vestiario ciclistico e non, toilettame, ricambi vari, gomme, attrezzi meccanici, nonché tutta l’attrezzatura idrico-vitaminico, sulle spalle o su portapacchi era un po’ un’anormalità anche per noi cicloturisti domenicali. A Fabio invece l’idea deve essere piaciuta perchè dopo una settimana mi inviò un’ Email con la quale voleva sapere il periodo, con quale bicicletta si andava, i percorsi … dopo 15 giorni, a quasi un mese dalla partenza prenotai i biglietti per il traghetto Livorno-Bastia per 4 persone e 4 bici + una stanza con 4 posti letto in un alberghetto a Ghisoni, un paesino in mezzo a due montagne nell’interno di Corte, arrivare lì e trovare completo l’unico albergo nel raggio di 100 km sarebbe stato veramente drammatico.
I personaggi
I ragazzi ( si fa per dire, 193 anni in 4 ) un pò pazzerelli:
tutti dipendenti/pensionati Cr Firenze
Fabio Rossi classe 76 l’ Inglese
Giampaolo Giannelli classe 60 il Marocchino
Franco Mescoli classe 48 Gianni Bugno
Giuliano Pelacani classe 47 Il Pela
Solo il soprannome di Franco è da spiegare (per i non addetti ai lavori), è relativo alla sua caratteristica di tirare rapporti molto duri soprattutto in salita.
Gli altri soprannomi si capiscono certamente se si leggono i cognomi o si guardano bene i tre personaggi
Le Tappe
Firenze -Livorno km 105
Bastia – Ghisoni 140
Ghisoni- Solenzara 137
Solenzara- Pianottoli 127
Pianottoli -Porto Pollo 69
Porto Pollo- Piana 140
Piana –Porto-Calacuccia 133
Porto- Ile Rousse 107
Ile Rousse-Monte Cinto 155
Ile Roussen –Nonza 90
Nonza -Bastia 108
Livorno-Firenze 105
La prova delle bici
Due giorni prima della partenza provammo le nostre attrezzature:
Borse professionali ai lati della bici per Fabio.
Beauty case superprofessionale su un portapacchi posteriore per Giampaolo.
Zaino a tracolla e zaino legato su portapacchi posteriore per Giuliano.
Trolley legato con elastici in posizione orizzontale su un portapacchi posteriore per Franco.
La partenza fu molto traumatica, la bicicletta andava per conto suo, doveva essere trovato un nuovo equilibrio. Dopo alcuni km si cominciò a andare meglio, però il peso si faceva sentire. Solo Giampaolo viaggiava come se non avesse niente. Il trolley di Franco era in condizioni di grave instabilità, sembrava che cadesse da un momento all’altro. Va tutto ok –diceva- e tu come vai con codesto peso sulla schiena, pensa che con questo caldo devi portartelo per più di 1200 km -
Si affiancò incuriosito un altro ciclista e ci chiese dove andavamo, gli spiegammo che eravamo sotto prova e gli illustrammo il programma corsicano, -porca miseria, che avventura, se l’avessi saputo prima mi sarei aggregato pure io, buon viaggio ragazzi! e se ne andò lasciandoci a soffrire pedalando a poco più di 15 all’ora. Dopo una trentina di km Giampaolo era freschissimo, anche il trolley di Franco cominciava sempre più a fare il bizzoso, l’instabilità si era accentuata, a volte sobbalzava, a volte si sbilanciava a sinistra, altre volte a destra. Dopo 40 km il trolley si ribellò di brutto e si gettò per terra. Accidenti e adesso? … si recuperò tutti gli elastici che lo avvolgevano e che avevano fatto per la strada una lungo serpente, in qualche modo si risistemò ma Franco si convinse che doveva trovare una soluzione diversa e più sicura, c’erano solo due giorni alla partenza. Lui voleva assolutamente il suo trolley ..forse con un po’ di fantasia…alla fine dei 50 km Giampaolo ci comunicò che il suo beauty-case era vuoto. Ecco perché pedalava come sempre senza fatica, che carogna !
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10 Giugno
Firenze-Livorno km 105
Prima tappa in terra italiana
Ci ritrovammo a Montelupo Fiorentino, i portapacchi e tutte le attrezzature questa volta erano stracolmi. Il peso sulle mie spalle in effetti si faceva sentire. Anche il beauty di Giampaolo era molto più alto della sera della prova, Fabio con la sua Mb aveva ai lati due borse che saranno state 15 kg, in più ai 15 kg di bicicletta, un bel fardello da trascinarsi, meno male che la sua età anagrafica lo alleggeriva di molto. Franco aveva trovato una soluzione molto ingegnosa, aveva allungato il portapacchi con due aste di ferro in modo che il trolley poteva essere posizionato comodamente in orizzontale. Grazie Franco—sembrava ripetere il trolley, in questa posizione sto molto bene.. quasi quasi mi faccio una dormitina…Un signore fu arruolato per farci la prima di una lunga serie di foto. Si parte…l’entusiasmo è alle stelle anche se i primi km sono gli stessi che facciamo spesso nelle nostre gite domenicali, questa volta ci sembrano diversi, sembra di respirare già l’aria corsa.
Il primo intoppo dopo una decina di km, il pedale di Franco fa le bizze, non è più possibile infilare la scarpetta e non è pensabile pedalare così. Meno male che Giampaolo conosce un meccanico a Empoli, la fermata risolve velocemente il problema, pedale nuovo e prima spesa non programmata per Franco. La sosta forzata, analizzata successivamente, si dimostra però molto interessante perchè, parlando della nostra avventura, ci viene consigliato di non tralasciare di andare nella valle Restonica, in quel di Corte, luogo che non era nei programmi. La strada che porta a Livorno è quasi piatta e con un andatura un po’ più sostenuta recuperiamo il tempo perso per l’inghippo. Arriviamo a Livorno, problemi per imboccare la strada del porto, poi la gioia di sorpassare tutte le auto in coda. Posizionarsi davanti a tutte le auto insieme alle moto e ad altri ciclisti ci fa sentire importanti e un po’ diversi dalla massa dei vacanzieri che con le loro auto stracolme di valigie, bambini e gommoni, mi ricordano altri tempi. Cambio di scarpe, si entra nella pancia della nave, e le bici dove vanno sistemate? Io, il Pela si preoccupa per la sua giovane Merak, ci dicono di legarle al lato della stiva. Lo facciamo, bella Merak legata con quelle cordacce, ma sarà per poco più di un ora. Con una serie di lucchetti incateniamo tutte e 4 le bici, così ci sentiamo più sicuri. Per togliere tutti gli elastici, per liberare gli zaini, a me e a Franco ci vuole del tempo e intanto stanno entrando tutte quelle auto con i loro scarichi. Finalmente sul ponte …spaparazzati, il tempo è splendido, si mangia, si chiacchiera, si scherza, ci sentiamo bene e rilassati, un caffè, poi delle foto. Gli altri ci osservano, l’immagine di pura libertà è nel nostro quadretto, su quelle quattro sdraie con tutti quelli zaini disordinati a nostro fianco … molti …sono sicuro … ci invidiano….
Arrivo a Bastia
Finalmente Bastia si avvicina,
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altre foto e giù a liberare le prigioniere. Sono le 17, siamo in terra corsa, ricambio di scarpe e pedalare, ora bisogna andare a trovare la sistemazione in hotel. Io propongo di fare una quarantina di chilometri e uscire subito dalla città che sembra abbastanza caotica e trovare un hotel nei pressi di Ponte Leccia, proposta rifiutata all’unanimità, stasera solo turismo in città.
Dopo varie ricerche si trova un alberghetto dislocato a circa 2 km dal centro, 110 euro per due camere con letti matrimoniali, era nei preventivi, le bici, cosa essenziale ce le fanno mettere nell’ingresso. Una doccia salutare, la prima volta che si aprono i nostri zaini e borse, è il caos, entro breve tempo nella stanza non ci si gira più, ognuno si prende un angolino, una sedia o un tavolino, dovunque dentifrici con camere d’aria, spazzolini da denti insieme a barrette, calzini da bici convivono con borracce, i sacchetti di plastica svolazzano da tutte le parti, in cinque minuti addio all’ordine che mogli e amiche avevano messo nel sistemare con cura e con divisione ottimale tutto il bagaglio. Siamo pronti per la cena, ovviamente si parte in bici direzione centro. Non si fa a tempo a passare dal lungomare, dove ci hanno detto che ci sono una serie di ristorantini a buon mercato, che una signora ci ferma, venite qui, si mangia bene, le bici le mettete lì, il tavolo è là… Guardiamo un menù turistico e ci sembra interessante e a un buon prezzo, 20 euro a testa, con stuzzichini vari, un primo a scelta, frittura di pesce e dessert. In effetti non si mangia male anche se avremmo gradito porzioni più abbondanti, comunque dopo ci rifacciamo con un gelatino al porto. Si riparte, provvedo subito ad accendere le due lampadine posizionate, una anteriore una posteriore, sulla bici e lampeggiando si ritorna in hotel, domani ci attende la prima tappa che io avevo considerato come la più lunga e la più dura. Prima di dormire un’occhiata alle cartine…Ponte Leccia ..Corte… Venaco ..Vivario .. Ghisoni ..e buona notte.
11 Giugno
Seconda tappa
Bastia-Ghisoni -Km 140-
La prima vera tappa in terra corsa ..dormire in mezzo alle montagne
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Il primo dramma mattiniero è quello di risistemare tutta la roba che avevamo tolto dagli zaini. E’ quasi impossibile farla rientrare tutta dentro, io agisco troppo con forza e faccio spaccare la cerniera dello zaino, subito dalla prima tappa inizia per me il viaggio con lo zaino aperto, con le scarpe e ciabatte legate al di fuori, ma ancora non è niente rispetto a quello che avremmo visto in futuro penzoloni dalle biciclette.
E’ stato programmato il passaggio dall’interno dell’isola, sia per evitare la lunga pianura, quasi un autostrada che porta da Bastia a Solenzara, sia per godere di luoghi che, dai resoconti su Internet, era indispensabile vedere.
Una ricca colazione in un bar in cui il titolare ha simpatia per i ciclisti, non lo sapevamo ma in Francia esiste la consuetudine di dare gratis le paste del giorno prima, morale della favola un cappuccino e una pasta del giorno + 7 pezzi del giorno prima, ovviamente cadauno.
Dopo i primi 20 km di pianura da Casamozza si entra nella prima vallata che ci porta a Ponte Leccia, i primi torrenti ci fanno fermare già alcune volte per delle foto, ce ne saranno molti in seguito ancora più belli…Poi il Collo di San Quilico, solo 559 m. di altitudine, ma ricca foto con alle spalle le vette innevate del Monte Cinto. Già la caratteristica della Corsica selvaggia si fa vedere e sentire, la strada per Corte è un susseguirsi di sensazioni, siamo solo all’inizio ma si capisce subito che l’interno dell'isola si farà apprezzare quanto o forse più della zona costiera. Corte, prima boulangerie presa d’assalto, le nostre barrette restano in saccoccia insieme a tutti i pezzi del giorno prima, poi un giro per la cittadina, la visita alla Fortezza e alla chiesa dell’ Annunciazione ,ovviamente, per rispetto alle nostre fidanzate, solo due per volta, poi una chiacchierata con un corso che dice di non sentirsi francese, -certo- mi permetto di dire - forse voi vi sentite più italiani-. Non l’avessi mai detto, l’uomo si imbestialisce - noi siamo corsi, corsi e basta, altro che italiani!- e se ne va brontolando. Intanto, mentre siamo a mangiucchiare, dei brutti ceffi ci guardano in modo strano, i nostri zaini sono tutti su un muretto, bisogna stare attenti sia alle biciclette sia agli zaini. Altro giretto per la cittadina, ora una patisserie ci attira, un altro pezzo dolce, non male. Si riparte, ricordando il meccanico di Empoli ci viene in mente la Restonica, bisogna trovare la strada che porta alla valle, quasi subito l’indicazione turistica –Val de la Restonica—Io mi accorgo di non avere il peso dello zaino sulle spalle, -porca miseria l’ho lasciato sul muretto- Addio vacanze, lì ci sono i soldi, la macchina fotografica, i documenti, è finita…con quei brutti ceffi…
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Ritorniamo indietro con cupi pensieri, è trascorso quasi un’ora, figuriamoci se ritrovo lo zaino …
Ma meraviglia! E' un miracolo …sul muretto c’è ancora lo zaino, è sempre lì, accanto ci sono ancora quei ceffi che in fondo adesso non mi sembrano proprio tanto brutti . E dentro c’è tutto… che c… ! Questa volta è andata bene, la Restonica ci aspetta. La strada è molto stretta e segue un torrente bellissimo con acqua splendida, spesso ci sono persone a fare il bagno, complimenti a delle giovani bagnanti quasi nude che ci dilettano di un sorriso, Franco sarebbe tentato di fare una sosta. La strada è sempre in continua ascesa ma fino agli ultimi 4 km la pendenza è accettabile e poi con quel panorama non si sente per niente la fatica. Poi la pendenza cambia, gli ultimi km sono tosti, pendenza costante sempre superiore al 10% con punte del 15%. Ognuno prende la sua andatura, e nessuno si preoccupa di restare indietro, è bello così, ognuno va del suo passo, poi si ferma per delle foto, ripassa avanti un altro, poi dopo si ferma anche lui o perché c’è un bello scorcio di panorama da immortalare o per un bisogno idrico, ad ognuno la sua andatura, le sue foto, le proprie marcate di territorio …. Arriviamo in cima alla fine della strada asfaltata, le vette innevate sono lì di fronte a noi, l’altitudine sui 1400 metri, gran panorama, le foto si sprecano, ci facciamo fotografare tutti e quattro insieme, ovviamente sotto il cartello dell’altitudine.
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Non ci rendiamo conto che dobbiamo fare ancora molta strada, la bellezza del luogo ci fa dimenticare che il nostro letto è a Ghisoni, il tempo c’è ma l’incognita è il percorso. Ci buttiamo a capofitto per ritornare a Corte, la discesa è molto bella, anch’io, che non sono un gran discesista, pennello abbastanza bene le curve, canticchiando dietro l'inglese, Bugno e il marocchino. Facendo un po’ di conti chilometrici mi sembra che effettivamente siamo un pò in ritardo. Il bel percorso che attraversa Venaco per poi giungere a Vivario non è molto apprezzato perché ci rendiamo conto che la nostra media si riduce ancora e che entro un ora arriverà l’oscurità. A Vivario è quasi buio, siamo tentati di fermarsi ad un alberghetto abbastanza simpatico, considerando che bisogna ancora fare l’ascesa del Col de Sorba a 1311 m. e poi una decina di km di discesa per Ghisoni. Ma la prenotazione? -Al diavolo la prenotazione- dico io, un po’ da stronzetto,- chi vuoi che ci conosca e poi certamente in quell’hotel sperduto saremmo stati solo noi-. Fermiamoci qui, vari consulti poi la decisione, andiamo a Ghisoni, soprattutto per non stravolgere i programmi impegnativi del giorno dopo. La salita del Col de Sorba ci sembra abbastanza dura, il panorama circostante sarebbe stato bellissimo in piena luce, sulla sinistra si vedono i tornanti percorsi e la vetta che ci sembra ancora molto lontana. Arriviamo in cima che è buio pesto, sono lel 22, la foto è irrinunciabile, fa freddo e siamo sudati fradici. Giampaolo dice che si sente male, sta per vomitare, disturbo di stomaco o assoluta mancanza di zuccheri? la seconda ipotesi è quasi impossibile dopo le patisserie di Corte, i 7 pezzi gratuiti e tutte le barrette finite nello stomaco. Però abbiamo consumato molto, siamo oltre i 130 km. Ora in discesa con quel buio e con quella strada stretta è molto peggio che in salita. Fabio parte insieme a Giampaolo, io li seguo davanti a Franco cercando con i miei piccoli lampadari accesi di vedere un po’ meglio la strada.
E se ci succede qualcosa? Uccellaccio del malaugurio, siamo a poco più di 2 km da Ghisoni quando sento una sferraglio, mi fermo, si è sganciato un’ elastico dal trolley di Franco, il guaio è che si è tutto attorcigliato ai raggi della ruota posteriore. Vola solo qualche-porca eva- -maremma troia-in fondo non scomodiamo nemmeno un santo o personaggio divino. Questa nostra educazione religiosa ci viene ripagata in quanto si ferma un auto e ci fa luce per poter risistemare e liberare la ruota. Se avessimo sentito i discorsi futuri dell’albergatore forse quel fascio di luce non ci sarebbe sembrato tanto amichevole. Comunque un –merci- e ripartiamo. Le luci di Ghisoni ci tranquillizzano, Giampaolo è già in camera e non si sente affatto bene, Fabio ci dice che l’albergatore è superincazzato e la cucina è già chiusa. Mettiamo le bici in un magazzino di fronte al l’hotel, controllo bene che sia chiuso a chiave. Chiediamo un tè per il Giampy che si trova stravaccato a letto ma ci viene risposto che non è possibile portare alcunchè in camera… dannazione non prevedevo che Ghisoni fosse un posto così poco ospitale. Poi, probabilmente viene convinta una discreta cameriera a fare un po’ di straordinario, noi che facciamo un po’ pena, qualche giustificazione, inventando degli incidenti meccanici, fa sì che l’atmosfera si addolcisca e che le due culture si riavvicinino.
-Ma poi voi siete pazzi a viaggiare di notte da queste parti, avete rischiato di trovarvi senza biciclette senza soldi e forse anche senza vestiti !.... mi viene in mente quell’auto che ci aveva illuminato, ma forse era uno straniero … Mangiamo molto bene, a metà pasto riappare il Giampy che ha ritrovato la sua cera da marocchino e si mette a mangiare anche lui, il malessere è passato, anche la cameriera ci dispensa vari sorrisi e inaspettate gentilezze. La camera è ghisoniana, il cesso diviso dalla zona notte solo da una tenda (vedere Bugno in azione)
Un po’ di conti e spese da segnare su un librettino poi a letto.L’ultima immagine che mi ricordo prima di crollare in un sonno profondo è quella di Franco che si mette a sedere sul water, chiude il separè, non ho il tempo di sentire alcun rumore né avere la sensazione di aromi articolari, perchè mi ritrovo immediatamente nel mondo dei sogni, vette innevate, acque cristalline, rumore di cascate e profumi, solo di fiori, meno male !
12 Giugno3° tappa
Ghisoni –Solenzara km 137
L’interno selvaggio e il mare turistico
Paghiamo il conto a Ghisoni, 183 euro per la cena notturna e le camere, saluti a tutti. Le nostre bici scalpitano, sembrano dei cani in attesa di essere portati a spasso, 20 minuti per risistemare i bagagli come sempre, sempre il mio sacco mezzo aperto e due paia di scarpe ciondoloni. Colazione ad un bar vicino, sono le ore 10 e siamo in ritardo. Anche a Ghisoni i pezzi dolci sono favolosi, sono della mattina stessa e ci tocca pagarli. Il paesino con il sole mattiniero, con le gambe e lo spirito diverso è in effetti abbastanza simpatico. Siamo troppo euforici, sbagliamo subito direzione, dobbiamo andare verso Zicavo, ci attende il famoso Col de Verde e invece i nostri pedali ci dirigono dall’altra parte, verso Ghisonaccia, il mare ci chiama. Quando ce ne accorgiamo abbiamo già percorso quasi
10 km, pochi, ma di discesa, retro march, 10 km di salita, rivediamo Ghisoni e questa volta ci sembra meno accogliente di prima, una vecchietta vestita di nero ci borbotta qualcosa, sembra che ci dica - avete fatto più di
20 km inutili, coglioni! -. E’ una giornata particolare, siamo nel cuore antico della Corsica, superiamo i passi Col de Verde, il Col de
la Vaccia, Serra di Scopamene (ricchi commenti), passando da Zicavo, Aullene, ma la caratteristica di questa giornata non sono le salite, anche se impegnative, ma la magnifica atmosfera che ci circonda. Maialini per le strade ci costringono a procedere con cautela, soprattutto in discesa, ad ogni curva un gruppo familiare ci saluta con i loro grugniti. Ci fermiamo ovviamente per fare più di una fotografia, gettiamo bucce di banane sulle quali si avventano affamati. Sembrano abbastanza tranquilli, solo un bestione impaurito dall’arrivo improvviso di Franco trasforma un grugnito in un ruggito cattivo. Poi altro paesino, mucche che attraversano la strada, più avanti dei cavalli… un paradiso soprattutto per i ciclisti. Ogni tanto la pace assoluta è turbata da qualche camper o qualche fila di motociclisti. Noi stiamo girando sempre intorno al Col de
la Bavella che dobbiamo affrontare alla fine della giornata. Anche oggi è una tappa lunga e impegnativa, ma alla fine dei conti quali tappe sarebbero state morbide ? forse soltanto una. Da Zonza alla Bavelle sono nove chilometri non mortali ma quelli percorsi si fanno già sentire; a proposito le salite in Corsica non sono poi tanto dure per le pendenze ma per la lunghezza e per il susseguirsi continuo, colli, colletti, rampe, rampette.
La vetta della Bavella è piena di turisti, i tipici pini piegati dal vento, è abbastanza freddo, le rituali foto. Ribadisco ai miei compari che ora mancano
30 km tutti di discesa. Mi ricordo, certamente non bene, di una vacanza passata a Tarco. Ero transitato da lì una ventina di anni prima, la strada era stretta stretta. Io ero in viaggio su un camper di un mio amico e a mala pena riuscivamo a passare sia in orizzontale sia in verticale per le fronde degli alberi che facevano un tunnel continuo. La strada è stata completamente rifatta ma quello che ci disturba è che ci sono altre due salite e dei lunghi falso piani, ma molto falsi. Ci danno molta noia, anche perchè stavamo pregustando tutta discesa e poi eravamo oltre i
120 km con quante salite, non le ricordo più..Su ogni rampa sono tartassato sempre con un —meno male che era tutta discesa, brutto stronzo!-. Finalmente Solenzara, abbiamo per il momento lasciato l’interno, il nostro viaggio ora proseguirà lungo la costa. A Solenzara, località turistica e si capisce subito dal movimento di auto al quale da due giorni non eravamo più abituati, non è facile trovare da dormire.
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Alla fine una soluzione al limite del decoroso, per 66 euro in quattro, tutti in una stanza in due letti matrimoniali. Come sempre il casino è infernale, quando tiriamo fuori la roba dai contenitori, la stanza diventa un campo di battaglia, magliette sudate, mutande, asciugamani, barrette, borracce, cellulari, documenti, avanzi di patisserie, scarpette, una in qua una in là’ calzini puzzolenti, un bel miscuglio di colori e profumi per un bel quadretto naif, sacchetti di plastica svolazzano in tutti gli angoli come dei palloncini, sembra una festa di compleanno, le nostre mogli svenirebbero senza alcun dubbio di fronte a tale spettacolo, io mi preoccupo soprattutto per il lavoro di riordino della mattina successiva-per favore doccia veloce, a me mi scappa… sì vai a farla in un campo fuori, io devo fare la doccia dopo…no prima tocca a me ..no vai a farla prima te e poi vai a trovare un ristorantino ok con la tv in cui si possa vedere la partita (ci sono i mondiali e gioca l’ Italia). Alla fine, dopo mezzora, abbiamo tutti fatto la doccia e Fabio è già alla ricerca delle due cose che ci interessano più in questo momento: ciccia e tv. Per i locali mangerecci c’è da scegliere, pizzerie, ristorantini con menù turistici, cibi locali. Quando incontriamo Fabio dall’espressione del suo volto capiamo che è stato trovato qualcosa di veramente okay. Il nostro problema fino ad oggi è stato quello delle quantità, in fondo non abbiamo mai mangiato male ma le porzioni sono state sempre alquanto scarse. Ho visto dei piatti favolosi—un miscuglio di ciccia, verdure, una cupola di roba, un piatto unico, da favola, un super cuscus. Sentiamo proprio il bisogno di proteine/cicciaiole e carboidrati/pastaioli, andiamo lì, fra l’altro c’è anche un grande schermo per la partita. Ci abbuffiamo con quella montagna di cuscus, solo Giampaolo non gradisce molto quel miscuglio e quel sapore un po’ orientale, anch’io non finisco tutta la gigantesca porzione. Dopo la partita, fra l’altro non mi ricordo nemmeno il risultato, andiamo a giro facendo una capatina al porticciolo. Due sguardi alla cartina per il giorno dopo, i soliti appunti delle spese, due ( ma anche meno) bischerate prima di sprofondare. Se le pareti avessero potuto parlare la mattina avrebbero detto..
-Che nottata con quei quattro ronfatori !-
13 Giugno
4° Tappa
Solenzara-Pianottoli km 127
Il primo bagnetto e il primo bucato (ma anche primo rischio di dormire sotto la luna)
La mattina non inizia molto bene, andiamo a fare rifornimento ad uno Spar, poi a prendere il caffè ad un bar. Il proprietario non gradisce molto che abbiamo comprato dei pezzi dolci in una patisserie, mugugna qualcosa in un francese italianizzato. Il programma della giornata è molto nutrito e poco chiaro, ci sono troppi luoghi da toccare, le strade che fiancheggiano la costa formano un reticolato e poi troppe zone interessanti, Pinarellu, St Ciprian, la Palombaggia, Porto Vecchio, Santa Giulia, Bonifacio, abbiamo anche stabilito di evitare gli ultimi 20 km di strada che portano a Portovecchio, una dirittura tipo autostrada molto transitata e pericolosa. L’orientamento è di ritornare nell’interno e arrivare a Bonifacio passando dalla campagna di Sotta. Seguiamo dunque tutta la costa, Favone,Tarco, mi ricordo di quando, venti anni prima avevo trascorso le vacanze con moglie e figlio di sei anni in un bel residence proprio ai Tarco; quel luogo lo riconosco, a quei tempi era senza vegetazione, adesso è pieno di piante meravigliose, mi ricordo che anche in quell’anno c’erano i mondiali di calcio e andavamo a vedere le partite da una famiglia francese, e come tifavano anche loro insieme al bambino, Baggio, Baggio, anzi Baggiò, Baggiò. Mi torna in mente anche una spiaggietta meravigliosa con un’acqua cristallina. Quando passiamo di lì mi soffermo, riconosco il luogo, desidero quasi ritornare a vedere, è Bocca di Parata ma bisogna percorrere un sentiero, poi le bici da lasciare incustodite ed è abbastanza tardi, dunque avanti. La giornata è molto calda, cominciamo il percorso nelle stradine di Pinarellu sempre lungo costa, strade turistiche ma piuttosto sconnesse e con numerosi strapperelli, il mare è bellissimo, arriviamo nel golfo di Portovecchio ma riprendiamo la provinciale evitando il paese, il nostro obiettivo è una rinfrescata nelle acque della famosa spiaggia della Paolombaggia, per arrivarci lasciamo ancora una volta la provinciale e facciamo il giro della Punta del Cerchio, sempre su stradine molto impegnative soprattutto per la calura.
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E’ ancora mattina e un tempo terribilmente caldo. Passiamo di fronte alla Punta Chiappa che è famosa per il camping naturista. Fra tutti i depliant che avevo ricevuto da Camping e Hotel prima della partenza era arrivato anche quello della Chiappa. Ovviamente in prima pagina avevano messo delle belle ragazze in tenuta da spiaggia naturista. Lo avevo fatto vedere a Franco il quale mi aveva consigliato di passare un po’ di giorni lì, avrebbe considerato anche il fatto di tagliare mezzo giro dell’isola. Io lo avevo sconsigliato perché di giugno i personaggi in vacanza generalmente sono sopra i 50, al che Franco aveva fatto un commento che non è il caso di riferire e che forse era meglio girare tutta l’isola, a tale proposito mi aveva raccontato una barzelletta molto simpatica.
Passando da punta Chiappa racconto la barzelletta anche agli altri, sono le 13 quando arriviamo alla tanto sospirata spiaggia. Ci cambiamo in fretta, lasciamo le bici ben visibili appoggiate ad un reticolato e poi ciuf nell’acqua cristallina. Effettivamente il luogo merita di essere apprezzato soprattutto bagnandosi, quell’acqua meravigliosa mi ricorda quando in qelle baiette insegnavo a nuotare a mio figlio. Fermarsi e poi ripartire dopo un bagno è la cosa più triste per un ciclista. Normalmente non si ha voglia di pedalare e si hanno dolori di gambe, in più c’è quel caldo bestiale, da risistemare tutta la roba e poi mezzi sporchi di sabbia e sono quasi le 15. Decidiamo di non fermarsi più a metà percorso a bagnarsi, dunque arrivare prima alla meta e sfruttare il mare nella seconda parte della serata..
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Dopo il golfo di Santa Giulia ci dimentichiamo di dirigersi verso Sotta e ci toccano quei
20 km di autostrada, cerchiamo di farli a tutta per levarseli di torno quanto prima ma non finiscono mai, ci sono dei lunghi rettilinei in discesa, poi altro rettilineo in salita e così via. Finalmente Bonifacio, facciamo i turisti in lungo e in largo, troviamo anche altri nostri colleghi di lavoro che sono venuti in moto, le foto alla fortezza sono d’obbligo, poi altro rifornimento presso lo Spar della cittadina. Senza accorgersene facciamo le ore 18, di lì a Pianottoli ci sono ancora quasi
20 km.
La prendiamo molto comoda, ci fermiamo più volte per le solite foto, arriviamo a Pianottoli quasi alle 20, le nostre medie…Io avevo letto che gli alberghi e ristoranti non sono in paese ma bisogna scendere
3 km verso il mare, lo facciamo, è quasi buio, l’unico hotel grandissimo e lussuoso è completo ma forse completo solo per i ciclisti? Incominciamo a girovagare, vediamo l’indicazione di un camping, chi va di qua chi di là per vedere se ci sono altre strutture, ad un certo punto si rimane io e Franco e gli altri due?.. aspettiamo e non vediamo arrivare nessuno. Nel frattempo in mezzo ad un campo ci appare una pizzeria che dall’aspetto sembra anche un localino simpatico, si sente anche un bel profumino di pizza, dei clienti ci vedono e urlano dei commenti penso poco simpatici, in quel momento malgrado la fame non mi fa gola il cibo, abbiamo bisogno assolutamente di trovare da dormire, ma prima bisogna ricongiungersi con Fabio e Giampaolo. Io intanto ho adocchiato una casa in costruzione, le pareti ci sono, il tetto anche, male che vada.. per una notte…sai però domattina che ripartenza felice e con quanti dolori !
Proviamo con il cellulare ma in quella buca non c’è linea, che facciamo?—Aspettiamo qui, è la migliore soluzione, anzi- tu aspetta qui, io risalgo su. E vai altri tre km di salita, le mie luci sulla bici sono accese ma si vede ben poco, non c’è nemmeno la luna, che serata di m…, ma perché ho scelto Pianottoli, mi ricordo di un resoconto di una coppia marito e moglie che si erano fermati qui ed erano stati benissimo, forse se ci fosse stato il posto in quell’ hotel a quest’ora saremmo già lavati e pronti per ingozzare carboidrati e proteine, insomma saremmo stati benissimo anche noi. Dopo aver fatto poco più di un km sento un rumore di bicicletta, finalmente, è Giampaolo—Abbiamo trovato da dormire presso una famiglia, ci danno tutto un appartamento-. Ritorno ad avvertire Franco, si scende di nuovo nella buca, si risale i tre km questa volta con uno spirito diverso. Anche per questa sera è andata bene. L’appartamento è simpatico e anche i proprietari molto gentili, parlano bene l’italiano, ci portano anche delle bottiglie di acqua minerale fresca, 75 euro per tutto l’appartamento, la mattina successiva ci faranno anche lo sconto, 70 euro. Ovviamente per il momento mettiamo le bici sul terrazzino, durante la notte sicuramente saranno accanto a noi. Franco lancia l’ idea di fare il pranzo in casa, andare a comprare qualcosa al paese lì vicino, c’è uno spaccio, stasera si cucina noi…e poi avverto io..c’è da fare anche il bucato, stasera ci tocca, abbiamo già molte cose abbastanza zozze. L’idea di cucinare non entusiasma nessuno anzi nascono dei battibecchi, poi si decide di andare a comprare qualcosa ma è tardi, si rimonta in bici, un altro km di corsa, arriviamo allo spaccio ma sta chiudendo, anzi ci viene chiusa la vetrata in faccia. Vediamo comunque che ci sono due ristoranti, dall’aspetto non mi ispirano tanta fiducia, io ripenso a quella pizzeria, a quel profumino, ma ritornare di notte di nuovo giù in quella buca….Dopo la doccia e aver riaperto tutto il materiale ovviamente tappezzando di nuovo l’appartamento di cianfrusaglie colorate, ci informiamo presso i proprietari dove si può mangiare discretamente. Ci invitano ad accettare qualcosa da loro ma noi rifiutiamo, allora ci sconsigliano di andare in quei ristoranti, io avevo avuto naso, in uno si mangia male, nell’altro tirano grandi cannate, la pizzeria invece è ok.
Help, help! e allora si rimonta in bici e si scompare nel buio in quella dannata buca. Arriviamo alla pizzeria, i/le clienti che ci avevano deriso ci osservano in altro modo, ora siamo vestiti bene, poi c’è il marocchino che attira lo sguardo di una bellissima cameriera, e poi c’è il fascino dell’inglese, e anche i due vecchietti messi in mezzo a questi due baldi giovani non ci sfigurano affatto, soggetti interessanti! E poi la curiosità per le quattro biciclette appoggiate allo stecconato della pizzeria, ovviamente ben visibili. Buona pizza, ma siamo all’aperto e le zanzare ci stanno massacrando, quando la bella cameriera se ne accorge ci porta la fiammella di citrosella, ce la mette sopra il tavolo ma noi la posizioniamo sotto il tavolo, ci interessa ovviamente salvaguardare le gambe. Il conto è più che onesto, ci apprestiamo a percorrere di nuovo quei tre km di salita ma questa volta con la pancia piena e più rilassati delle volte precedenti non ci sembra nemmeno la stessa strada. Si vede pochissimo, anche le mie piccole luci, la posteriore a intermittenza con luce rossa, quella anteriore con luce giallognola fissa, ci sono poco di aiuto, sembriamo lucciole nella notte.
Mettiamo le biciclette in casa, chiamiamola così perchè di stanze ce ne sono abbastanza, io e Bugno al primo piano, il marocchino e l’inglese in mansarda. Adesso cominciano i preparativi per il bucato. Chi si posiziona in bagno chi sul lavandino del cucinotto, in fondo non siamo poi tanto male come lavandai, se ci vedessero le signore ci toccherebbe questo lavoretto anche a casa, struscia, struscia con il sapone di Marsiglia… Ci sono degli stendini già pronti ma sono insufficienti, si attaccano anche degli elastici per allargare lo spazio di tenditura e voilà il bucato è fatto e steso. Ma saranno asciutti domattina? Io mi addormento guardando i miei calzoni che stanno gocciolando lentamente, potrei alzarmi a dare un’ulteriore strizzata.. mi addormento .. sogno alluvioni.. poi mi trovo in mare aperto, le onde portano via i miei calzoni, poi si allontana anche la mia maglietta con la scritta Ciclistica Montefiridolfi.
14 Giugno
5 °Tappa
Pianottoli-Porto Pollo km 69
Un po’ di relax e le cipolle di Bugno
Benché la cucina sia quasi allagata né i miei indumenti né quelli di Franco sono asciutti.
Che facciamo?, io faccio una bella palla e la metto in un sacchetto di plastica che avvolgo sopra lo zaino sul portapacchi, va bè con il sole asciugheranno, Franco li mette stesi sul suo trolley, gli altri, mi dicono, che i loro sono asciutti, loro li avevano strizzati di più e poi stesi fuori. Per la colazione solito supermercato Spar e si parte, oggi la meta è Porto Pollo e tempo permettendo dovrebbe esserci il tempo di farci un pò di mare. E’ tutto un saliscendi, ci allontaniamo dalla costa e nell’ interno ritroviamo i nostri amici animali, questa volta dei cavalli, più avanti delle caprette. A Sartene nuovo rifornimento, questa volta Bugno acquista anche delle cipolle che mette ciondoloni sotto al suo trolley, dice che gli fanno bene sia per il diabete sia per i muscoli(!). Cominciano un po’ di discussioni perché ultimamente non ci riesce pedalare insieme, ora va avanti uno ora l’altro, non si tiene in tal modo un’andatura costante, Fabio ci rimprovera per questo, d’ora in poi si cerca il più possibile di procedere uniti e ad un andatura regolare.
Vicino a Propriano c’è il bivio per Punta Belvedere, nel programma era contemplato di andare anche a vedere quel posto panoramico. Incontriamo dei ragazzotti italiani che con le loro Mb provengono proprio dalla Punta, ci dicono che c’è da salire abbastanza e poi riscendere ma secondo loro non è niente di eccezionale, abbandoniamo dunque l’dea di fare quei 20 km di cui 10 di salita. Oggi abbiamo bisogno di mare e di riposante relax. Ci mettiamo un po’ a parlare con loro, a sentire il nostro programma ci danno di pazzi, i giovincelli fanno al massimo 40 km al giorno, a volte si spostano con il pullman, ad Ajaccio riprenderanno il treno per Bastia.
Troviamo un altro bivio, abbiamo un'altra discussione, a me piace la stradina lungo mare che transita da Abbartello invece di procedere per la provinciale. Gli altri non sono molto d’accordo, la stradina non si presenta molto bene, è stretta e con molte buche ma un - ragazzi non possiamo evitare le strade caratteristiche della Corsica, fino ad oggi non abbiamo trovato gran ché di sconnesso né i famosi precipizi- fa accettare la mia proposta e cominciamo subito a soffrire.
Su questa mulattiera, finalmente sulla sinistra, qualche dirupo. Arriviamo verso l’una a Porto Pollo.Troviamo quasi subito un bell’alberghetto, due camere, una addirittura con vista che viene concessa gentilmente ai due vecchietti, trenta euro a cranio, non male per il confort e il panorama che si gode dalla terrazza. Ritiro fuori dal sacchetto la mia pallottola che è sempre bagnata e dopo aver riportato gli indumenti alla loro naturale dimensione e forma geometrica, li stendo sulla terrazza. Dopo una mangiata di frutta.. e di cipolle, giù in spiaggia. Si passa tutto il giorno a bivacco tra un bagnetto e un altro. Anche qui, ovviamente, il mare è bellissimo, malgrado il vento e un po’ di mare mosso, l’acqua è limpidissima ma anche freddina. Io ho portato la cartina e sto esaminando il percorso fatto e quello da fare, cerco le montagne più alte e vedo due stradine molto interessanti che non fanno parte del programma, il col de Vergiu sopra a Porto e la Valle dell’Asco sotto il Monte Cinto, bè sarà per un'altra volta, per quest’anno basta così. Non mi pronuncio, per il momento godiamoci questa giornata di relax. La sera, pizzeria vicino al porticciolo, Franco vuole il pesce, gli portano un pesciuccio mezzo risecchito e tutto spine, comunque con 80 euro ce la caviamo. Finalmente una stanza d’albergo decorosa e molto confortevole. A parte uno strano puzzo di cipolla tutto va ok, ormai al caos ci siamo abituati. Mi sembra di non aver sognato niente quella notte però mi viene in mente di essermi alzato per andare a bere, avevo uno strana boccaccia, sì ,ora ricordo, nel sogno avevo mangiato una pizza con le cipolle…
I rapporti
Il Pela ha montato una compatta, addirittura 48/34 con il 25 dietro.
L’inglese è con la sua Mb ovviamente con tripla e rapporti molto agili.
Il marocchino ha il suo 53/39 con il 25 dietro.
Bugno, malgrado la sua dura pedalata, ha optato per una tripla con 25.
Visita ai cimiteri
L’acqua solo alle fontane o ai cimiteri. In effetti è proibitivo in Corsica acquistare l’acqua. Ci hanno avvertito che è salatissima e le fontane in varie località scarseggiano, noi dunque siamo sempre alla ricerca di croci e cancelli mortuari, d’altro canto i cimiteri ci sono in tutti i paesi e lì l’acqua abbonda.
10 volte lo Stelvio
Ho fatto un po’ di conti sul dislivello totale.
Ho considerato che dei 1470 km totali, di vera pianura ne abbiamo percorsi circa 370, il resto saliscendi.
Quindi 1100 fra salite e discese, quindi 550 di salita, considerando un pendenza media
del 5% , dunque 27500 metri di dislivello, quasi 10 volte lo Stelvio, non male!
La sera
La sera e’ sempre il solito rituale, per smontare le nostre attrezzature dalle bici ci vuole il suo tempo soprattutto a me e a Bugno. Le nostre soluzioni artigianali, con i nostri venti elastici che avvolgono gli zaini, non è possibile fare in fretta. Poi nelle camere, si apre tutto, si mescola ogni cosa, panni sporchi, panni puliti, cellulare, barrette, frutta, cipolle, euri, elastici. Poi si aggiornano i nostri foglietti mezzi bagnati di sudore, con le spese del giorno. Abbiamo deciso di tenere i conti in due, come su un computer è sempre bene farsi le copie, e poi con tutti quei foglietti volanti e illeggibili dal sudore. Ci vuole del tempo per capire come e dove sistemare la roba visto che il letto dovrebbe essere adibito ad altro scopo. Normalmente sono le sedie se ci sono, altrimenti tutto per terra. E la notte per andare in bagno bisogna fare lo slalom fra tutti quei colori sul pavimento.
Le nottate. Ci tocca quasi sempre accettare la
sistemazione in due camere e per due volte ci sono toccati anche letti
matrimoniali. Ovviamente le coppie sono formate in base all’ età, io Pela con
Franco Bugno, il marocchino Giampa con l’inglese Fabio.
Normalmente cerchiamo sempre una camera con 4 letti
singoli, il che spesso è impossibile. Ci tocca quasi sempre accettare la
sistemazione in due camere e per due volte ci sono toccati anche letti
matrimoniali. Ovviamente le coppie sono formate in base all’ età, io Pela con
Franco Bugno, il marocchino Giampa con l’inglese Fabio.
La mattina
E’ ancora impresa più ardua risistemare il tutto negli zaini, nel trolley, nel beaty case o nelle borse.
Tutte le mattine sembra che insieme alla fatica sia aumentata anche la quantità della roba da sistemare. I miei zaini sembrano tutti i giorni di dimensioni sempre maggiori, nelle ultime tappe sono costretto a lasciare oltre alle ciabatte, altri sacchetti al di fuori, il tutto fermato con i soliti 10 elastici. E ci sentiamo molto più tranquilli quando dopo vari accidenti qui, accidenti là, ma dove ho messo il cellulare, dove sono i calzini, ho perso il portafoglio, vediamo la bici sistemate, il salsicciotto ben elasticato sul portapacchi, il trolley a posto, le camere finalmente vuote. Il massimo della goduria è quando le nostre chiappe si appoggiano su quella sella dura( esclusa qualsiasi deviazione sessuale) e le nostre scarpette sorridono per quel rumorino degli attacchi che si chiudono.
Fruttivendoli
Ormai ai nostri occhi oltre al mare e ai meravigliosi panorami non sfuggono le insegne dei magazzini Spar dove si trova di tutto.
Ormai i quattro si trovano bene insieme, dopo le cipolle di Franco e i panni che devono asciugare
penzoloni alle biciclette c’è di tutto, buste di plastica, scarpe, buste trasparenti con dentro tutti i tipi di frutta, banane, arance, susine, frutta secca. Il primo è stato Giampy che non può fare a meno della frutta, poi l’abbiamo seguito tutti. Il più serio ovviamente è l’ inglese, poi anche lui è diventato fruttivendolo. Una vecchina ci ha addirittura chiesto se le vendevamo un po’ di susine.
Ormai la serietà è un lontano ricordo, il marocchino viaggia quasi nudo, alla fine vediamo anche l’inglese in mutande da footing e a torso nudo, pelle nera e bianca, il rutto è ormai, da tempo, libero, adesso anche i peti( solo su internet per un toscano è consentito tale vocabolo) diventano liberi. Addirittura nell’ aria pura si fa a gara a individuare da quale bicicletta son partiti..
Varie foto immortaleranno Franco che si dirige spesso verso una macchia e che ne riesce dieci minuti dopo con l’aria più rilassata e tranquilla.
Mai ho potuto, per motivi di privacy, fare un click dietro quel cespuglio.
La colazione è sempre abbondante in special modo quando è compresa nella tariffa del bread and break, durante il giorno ci alimentiamo con barrette, merendine varie, gelati e con parecchia frutta. Ultimamente l’uvetta passa, le noci e mandorle sbucciate, sono i prodotti più prelevati dagli scaffali dei super mercatini. La sera spesso un primo e pizza, altre volte pesce, quasi sempre cene molto leggere.
Le forature
Non ci è andata poi tanto male in quanto io non ho mai forato(avevo messo delle gomme molto pesanti), Franco una volta, Giampy due volte, e l’inglese una volta.
15 Giugno
6° tappa
Porto Pollo –Piana 140 km
Dalle stalle alle stelle ..anzi alle 5 stelle..
Tappa durissima con un finale al cardiopalma. Non era in programma una tappa così lunga ma l’inglese vuol recuperare un giorno in modo da poter fare un’altra escursione nell’interno, Fabio ha forse captato la mia idea! Col de Cortonu, Porticcio, si arriva ad Ajaccio. Caos infermale già alla periferia, sbagliamo strada, poi ci sembra di essere entrati su un autostrada, macchine che volano, noi tutti sulla destra, è purtroppo l’unica strada che porta alla capitale.
E’ una giornata caldissima e il caldo diventa ancora più insopportabile in città dove il traffico è pazzesco. Ci si perde subito, Giampaolo e Fabio sono avanti e non si accorgono della foratura di Franco. Io provo con la bomboletta che ovviamente mi si scarica tutta senza gonfiare la ruota, mentre siamo indaffarati con le minipompine cadono gli occhiali di Franco e si spezzano, una piccola imprecazione è d’obbligo quando ci accorgiamo che la pompa non funziona, al pensiero di tirar fuori la mia dal bagaglio…. Smonto il tutto ..finalmente eccola, si prova anche con la mia, ma niente, le minipompe sono eccezionali! Nel frattempo il cellulare squilla, i nostri compari ci chiedono dove siamo, arrivano dopo un quarto d’ ora.Vedere quei due tipi, uno con il casco tutto storto, buste di plastica in terra, occhiali rotti, copertoni, pompe, vario materiale tirato fuori dal sottoscritto per portare alla luce l’attrezzo gonfiante, tutto sul marciapiede, non deve essere stata una bella immagine .
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Mentre anche gli altri ci provano faccio due passi più avanti e grande meraviglia, c’è un negozio di ciclismo, miraggio!-Venite quà abbozzatela con codesto pompino!- Una bell' attrezzo con dimensioni di una vera pompa, con due colpi rimette in forma la gomma, io compro anche tre bombolette, non mi arrendo con questi aggeggi, poi queste avranno sicuramente aria speciale corsa da quanto costano !
Facciamo un giro nel centro città, ci tocca fare gli equilibristi fra le code delle macchine, io non vedo l’ora di abbandonare Ajaccio, qualche fotografia e un po’ di scuola fatta da Fabio che in effetti, con la sua guida, ci ha sempre erudito sui monumenti e luoghi caratteristici di tutti i posti visitati. Rinunciamo a quello che era il programma originale di andare alla punta della Parata ed evitiamo quindi fra l’andata e il ritorno
24 km. Si risale dunque a punta Mora e poi a Bocca San Bastiano.
Ci fermiamo in cima al monte e vediamo un contadino che porta a spasso un somaro carico di borse, ma non sono borse, sono dei contenitori di stoffa cilindrici, quel povero mulo ne ha una quindicina sulla groppa e dal modo con cui barcolla sicuramente non sono vuoti. Incuriosito, provo a domandare –ma che c’è lì dentro ? e poi in pseudofrancese -q’est c’è sur la groppe-? Con un accento che a me sembra siciliano -Voi pensate alla vostre bici che al mio mulo ci penso io-.Probabilmente con il mio francese ho fatto capire che ero indispettito per il trattamento riservato alla povera bestia. Meglio ripartire ed evitare di contattare questi corsi! Decidiamo di soggiornare a Sagone ma quando arriviamo lì è ancora abbastanza presto ed allora altri 14 per Cargese, siamo quasi cotti ma 14 km, tutti lungo costa, si possono sopportare. Cargese è a meno di un km quando, fermi per fotografare il paesino, a Fabio viene l’idea di proseguire per Piana, altri 20 km con la Bocca di Borraccia e la Bocca di San Martino. L’idea è nata perché forse ce l’avremmo fatta a vedere le Calanche al tramonto, infatti quell'ora è il momento migliore in cui la luce del sole calante fa risaltare il colore rossastro delle rocce.
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Controlliamo l’orologio e il sole che piano piano si sta abbassando, le gambe non possono accelerare più di tanto, adesso siamo super cotti, soltanto il marocchino sembra in forma strepitosa, noi non ce la facciamo senza alcun dubbio ad arrivare in tempo, -vai Giampy, vai te, che poi ci riferisci e magari fai delle belle foto-.Il Giampa si alza sui pedali, come altre volte ha fatto per catturare un ciclista visto più avanti, poi scompare dietro una roccia. La rincorsa inizia, questa volta contro il sole. Al nostro arrivo a Piana è già buio, troviamo il marocchino mezzo morto seduto su un muretto, mormora qualcosa, non riesco a capire se il sole l’ha battuto allo sprint o se la foschia ha impedito la visione dello spettacolo delle calanche al tramonto. L’ora è critica, c’è da trovare da mangiare e da dormire, io non capisco qual'è in quel momento la priorità, comunque decidiamo di trovare per prima cosa i letti.
Ci ricordiamo di quanto ci avevano detto i ragazzotti piemontesi,- a Piana c’ è un posto particolare, si spende poco, si trova sempre da dormire anche se il luogo è un po’ spartano e il gestore abbastanza strano. Passiamo davanti ad una pizzeria, un profumino ci ricorda che dobbiamo anche cenare, ma al momento la priorità, è quella di trovare un materasso. Vediamo quasi subito la stradina che porta al probabile letto; malgrado il buio ormai pesto ,capiamo immediatamente in che luogo avremmo dovuto dormire. Si sentono già due voci che litigano ad alta voce. Si affaccia una donna alla finestra di una casa ricavata da una stalla. -Che volete a quest’ ora ?-Avete da dormire ?—Aspettate sento mio marito —. Rientra in casa e sentiamo delle voci ancor più incazzate. Speriamo bene! Io sto ripensando ad una casa diroccata che ho visto prima dell’entrata in Piana, male che vada! Non so come mai quando arriviamo vicino ai paesi in cui dobbiamo pernottare cerco sempre con lo sguardo delle case in costruzione, capanne abbandonate, forse ho sempre il presentimento che prima o poi dovremmo dormire all’addiaccio.
Finalmente si presenta il marito, un energumeno con una barba sporca e incolta- che volete?-non vedete che ore sono ? In effetti sono le 21,45 ,molto tardi per noi ma, pensiamo no certamente per un albergatore. –Venite, venite- sembra mosso a compassione –Seguitemi- con le nostre biciclette appresso scendiamo per una viottola in mezzo ad un campo, poi mi sembra di entrare in un boschetto. Finalmente la dimora, dall’aspetto sembra più una stalla o un porcile. Alcune biciclette sono piazzate vicino all’entrata. Sicuramente in tempi passati era un luogo in cui avevano soggiornato maiali, pecore o qualsiasi altra bestia a quattro zampe. Da un porticina entriamo dentro, l’aspetto a questo punto diviene ancora più chiaro, lì sicuramente si erano accoppiate scrofe con i rispettivi coniugi. Ci sono delle piccole stanzine, strette, lunghe, buie e sporche. Alcune sono occupate da soggetti, che così a prima vista, non mi sembrano per niente raccomandabili, in altre, brande con a bivacco dei ciclisti di passaggio, come noi. Un puzzo di rinchiuso aleggia nell’aria, un bagno unico per tutti. Ci guardiamo negli occhi, purtroppo è quella per forza la nostra sistemazione per una notte. Immediatamente dopo che io ho pronunciato quella frase-le biciclette dove le mettiamo, qui lungo il corridoio? – L’uomo alza la voce e mi guarda inferocito, sembra che voglia mangiarmi-Le bici fuori, come tutti gli altri ! In questo luogo le bici stanno all'aria, se vi va bene, e non pensate di fregarmi, lasciarle fuori adesso e poi nella notte venite a metterle dentro, perché vi vengo a controllare, e ve le scaravento io tutte nel prato! -Noi non possiamo tenere le bici fuori - E allora fuori anche voi, ma che credete che qui ci siano i ladri, qui siamo tutte persone oneste- Non è per i ladri- dico spontaneamente per calmarlo- è perché le nostre bici con l’umidità notturna e il salmastro si rovinano- Ma chi se ne frega delle vostre bici -andatevene anche voi, l’umidità, il salmastro, qui tutti lasciano le bici fuori. Gli altri mi guardano male, l’inglese, già per sua natura di carnagione bianca, sbianca ancora di più, Bugno, ma addirittura anche il marocchino, perdono il loro colore naturale di colpo, appena sentono la mia risposta - Andiamocene da questo posta di merda(ci vuole)- Merda sarà a casa sua –risponde - Andatevene pure, tanto stanotte vi tocca a dormire fuori, in questo paese non troverete certamente nessuna sistemazione a quest’ora-. Ce ne andiamo grugnendo con la coda attorcigliata(!) fra le gambe e le bici appresso, consapevoli di aver fatto una cazzata, l’uomo se ne va imprecando ad alta voce prima contro di noi, poi, una volta entrato nella sua dimora, lo sentiamo urlare ancora di più con sua moglie. Poi una voce più alto della signora lo cheta di brutto, e mentre noi risaliamo la stradella per ritornare nella piazzetta di Piana, inseguiti di nuovo da quel profumino di pizza, l’orologio segna le ore 22,30. Risaliamo in bici ma dove andiamo? la prospettiva a questo punto è di dormire a pancia vuota sotto un albero. Più avanti sulla destra un miraggio, un albergo megagalattico, con tanto di parco, 4 stelle, molte auto di grossa cilindrata parcheggiate. Un tentativo si può fare, chissà però il prezzo. Inevitabilmente tocca a me, quale responsabile dell’addio al porcile, ci vuole molto coraggio a presentarsi in quel modo a quell’ ora e chiedere una camera in un simile albergo.- Avez vous deux chambre libre?-Mi avvicino all’entrata, sento molta confusione, qualche party corso deve essere in corso(!). Apro la porta, non c’è nessuno, ma sento che molte persone sono riunite nella stanza accanto. Pavimenti lucentissimi, specchi da tutte le parti, lampadari favolosi con grappoli di luce che scendono dal soffitto, comincio ad avanzare piano piano con la paura di scivolare sopra quei marmi quasi specchi e il rumore dei tacchetti delle scarpe rimbomba in tutta la sala. Si affacciano due o tre dei presenti, mi osservano, mi sorridono, poi si guardano fra sè e cominciano a ridere, nel frattempo arriva una megera vestita di nera con una crocchia dispettosa. –Non abbiamo camere libere, è tutto occupato-. In un batter d’occhio ha capito che ero italiano e che stavo cercando da dormire per me e per altri compari. Quando uscendo mi son guardato in uno degli specchi, come potevo pretendere di ottenere due camere per la notte? Avevo il casco su una parte, la maglietta con macchie bianche di sale/sudore, una parte di sottomaglia bianca, che bianca ormai non era più, me ne usciva una parte da dietro i calzoni, e poi, avendo mangiato della cioccolata poco prima, avevo la bocca ancora macchiettata e per finire le gambe nere di morchia e di polvere. Il marocchino immaginando come sarebbe andato a finire il mio tentativo se ne è andato per conto suo per una nuova caccia al tesoro. Poco dopo lo vediamo arrivare – c’ è un altro hotel più avanti, a 5 stelle- Vai te a sentire –tutti e tre diciamo all’unisono.
Siamo in trepida attesa, quando l’uomo del porcile ci passa davanti con la sua auto puzzolente e scassettata, piena di cani e cianfrusaglie. Si affaccia al finestrino - Tanto stanotte vi tocca dormire all’aperto- Adesso ci sembra che il suo italiano provenga da un dialetto conosciuto.
Poco dopo vediamo la lucina applicata sul manubrio della bici del Giampa che si avvicina. –E’ andata bene, hanno due camere libere. Evviva Evviva il marocchino; 70 euro a testa con prima colazione, non poco, ma per quell’ambiente e a quell’ora saremmo stati disposti a pagare anche di più, e poi non sappiamo ancora che per la sola colazione sarebbe valsa la pena spendere quella cifra. Arriviamo all’ hotel, è ancora migliore di quello visto in precedenza. Ci tocca salire per una salitina con le bici a mano, l’ultima fatica, sono le 23, poi entriamo, una hall fantastica, l’addetta alla reception, una bella ragazza mora e discreta, ci sorride, in modo particolare ad uno di noi. Evviva, il fascino del marocchino ci ha salvato, anche questa notte dormiamo in un letto. E le bici? dove si mettono le bici? -ma potete lasciarle qui nella hall- Rimaniamo increduli, nella hall? Su quei pavimenti brillanti e profumati? E pensare che nel porcile dovevamo lasciarle fuori !
Ci portano alle camere, da mille ed una notte, bisogna far presto perché bisogna ancora mangiare. Arriviamo alla pizzeria del profumino alle 23,30, non c’è più nessuno, il proprietario si muove a compassione e ci accontenta, pizze e birra per tutti.
Il desiderio dopo la mangiata di buttarsi a dormire su letto e non su dell’erba umida è grande, però facciamo ancora due passi per Piana, poi il rientro in hotel. Prima di salire in camera lancio un’occhiata al contachilometri che segna 142, ci meritiamo davvero un bel riposo dopo una simile giornata. Salgo le scale che portano alle camere al piano superiore, dall’ alto vedo quelle quattro biciclette tutte sporche e polverose, lì in mezzo in quella hall lucida, sotto quegli immensi lampadari di vetro splendente, con le ruote appoggiate sopra quei pavimenti di marmo rosa ancor più luccicante, che effetto che mi fanno .
Di notte mi sveglio di soprassalto, un sogno, un incubo, mi è sembrato di essere a dormire in mezzo a dei maiali, è stato solo un sogno. Forse? In effetti accanto a me e dalla stanza accanto sento un bel ronfare !
16 Giugno
7° tappa
Piana -Porto -Col de Vergiu -Calacuccia e ritorno a Porto - km 133
Finalmente soli con le nostre fidanzate spogliate.
Era l'ora, le amate montagne con le nostre bici superleggere, i nostri bagagli lasciati a riposarsi in albergo.
Dopo una nottata di meritato riposo ci attende la colazione. E’ apparecchiato fuori su una terrazza, ci sono altre persone, sembrano tutti tedeschi. Sulla tavola ogni ben di Dio, croissant caldi sembrano appena sfornati, marmellate varie, dolci di tutti i tipi, frutta e succhi vari , focaccine, salumi, uova sode, proprio quello che ci vuole dopo una cena di solo pizza. Ci abbuffiamo, i vicini tedeschi ci guardano e sorridono, in fondo sicuramente ci invidiano, non possiamo fare a meno di mettere nelle tasche posteriori delle magliette qualche marmellatina, un po’ di frutta, qualche pezzo di dolce e qualche pezzo di cioccolata, almeno una giornata senza la visita al museo Spar. Poi latte, caffè e ricominciamo con dolci e frutta. Dopo mezz’ora siamo rimasti solo noi che continuiamo imperterriti e avremmo continuato ancora se una cameriera non fosse venuta al nostro tavolo come per dirci- basta devo sparecchiare- Ci siamo alzati un po’ a malincuore ma sicuramente rimpinguati di vitamine e carboidrati necessari per una tappa che si prevede durissima.
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L' idea dell’inglese di una tappa un po’ particolare venuta fuori la sera prima in pizzeria, è stata accettata anche dagli altri due; dunque 11 km per arrivare a Porto, un’ oretta per trovare una sistemazione per la notte successiva, biciclette prive di tutti i nostri bagagli, 8 kg in meno , anzi 18 per Fabio, e poi di nuovo un’escursione nell’interno, George de Spelunca, Col de Vergio il passo più alto della Corsica con i suoi 1484 metri, Calacuccia e ritorno a Porto. L’idea di salire quasi due volte ai 1500 metri del Col de Vergio non ci spaventa, abbiamo, in effetti, bisogno di un po’ di vera montagna e stare un po’ da soli con le nostre fidanzate spogliate. Partiamo, alzo gli occhi e da lontano vedo ancora il nostro tavolo della colazione, che in verità è una montagna di tovagliolini, contenitori di marmellate che fa da ornamento alla terrazza panoramica. Entriamo nel vivo delle Calanche, una stradina stretta si fa spazio fra rocce rossastre e con le forme più strane. Ci fermiamo più volte a fare delle foto,-guarda quella, sembra il volto di Mussolini-, più un là una sporgenza dà l’ impressione di vedere il volto di Papa Giovanni. Il panorama al calar del sole dovrebbe essere bellissimo, per fare 11 km e quasi tutti molti in discesa impieghiamo quasi un ora. Arriviamo a Porto e non c’è molta difficoltà a trovare una sistemazione, ci sono moltissimi alberghi e pensioncine. Ne troviamo uno molto simpatico appena dopo il bivio con la stradina che porta(!) al porto(!) di Porto(!). I gestori sono gente molto simpatica e fantasiosa, e la fantasia ce l’hanno messa anche nell’arredare le camere e tutto il piccolo albergo. Ci sono ninnoli da tutte le parti, attrezzi tutti costruiti dal gestore il quale, anche dall’aspetto dà l' impressione di essere un artista, in giardino ci sono delle composizioni floreali intervallate con delle statuette un po’ particolari, opere del medesimo. Facciamo presente che noi staremo tutto il giorno fuori, che ci interessa solo il pernottamento e prima colazione, 30 euro cadauno. –Buona giornata –ci dice la signora-buone pedalate –il marito, quando ci vedono partire. Dopo aver pedalato con tutti i bagagli sulle bici ci troviamo nella stessa condizione delle prime uscite insieme al nostro guardaroba, non riusciamo a trovare l’equilibrio, soprattutto quando ci alziamo sui pedali, la bici sbrindella di qua e di là, però bastano pochi km per ritrovare un' andatura non ubriaca e per capire quanta meno fatica si fa senza la compagnia dei nostri amici bagagli. La salita che porta al Vergio è molto bella e per niente dura, si pedala bene, le pendenze non superano mai il 6% e il contorno eccezionale. Rocce del colore delle Calanche ci accompagnano per i primi km, poi prati, boschi, foreste di conifere e tanti maialini, questa volta il vocabolo suona bene, tanti maialini che dal colore sembrano in realtà cinghialotti fermi ai lati della strada, sembra perfino che, con i loro grugniti, ci vogliano salutare. A volte ci attraversano davanti senza mai darci l’impressione di voler farci del male o impedirci il passaggio. Ci fermiamo più volte a fare delle foto, io gli butto delle bucce di banana, ne sono ghiotti.
Vai-ti faccio una foto insieme a quello più grosso -dice Franco- voglio immortalare i due maialoni- e giù risate degli altri.
Purtroppo, dopo aver sollazzato un gruppo di suini corsi, mentre siamo intenti a riempire le borracce d’acqua freschissima ad una insperata fontana, la mia bicicletta, che è appoggiata con il pedale sopra un grosso sasso, cade, il telaio va a sbattere contro una roccia appuntita, la mia bella Merak, un colpo violento, il primo colpo, il primo livido, in effetti una piccola ammaccatura con relativa sverniciatura, prima o poi doveva accadere. Per qualche km ripenso a lei e a come era più bella senza quel graffio, poi il panorama, la salita, i suini, le battute dei miei compari, l’aria fresca, quel senso di libertà e soprattutto quel godimento di pedalata facile, mi fa dimenticare la sofferenza per l’improvvisa menomazione della mia amante.
Arrivati alla vetta non possiamo fare a meno di farci fare la rituale foto sotto il cartello con la denominazione e soprattutto con l’altitudine del passo. Il panorama è stupendo, noi ciclisti amanti della montagna, ci sentiamo molto più realizzati ai 1500 di altitudine che lungo costa, anche se, con a lato, un mare meraviglioso. Possiamo già tornare indietro ma ci incuriosisce quel lago della cartina e quel paesino di Calacuccia, dobbiamo scendere e poi risalire, il tempo è ottimo e poi siamo in perfetto orario e non abbiamo problemi per la sera, di pernottamento. Scendiamo, questo è il bello delle salite, fischiettando per una ventina di km, finalmente l’immagine del lago. Lo percorriamo tutto intorno da Casamaccioli fino a Calacuccia. Il paesino è molto piccolo, tranquillo, c’è una chiesina molto interessante a cui non disdegniamo una foto. Ci fermiamo, acqua fresca e avanzi di colazione di Piana, tutto è ok.
Un riposino e poi ripartenza. Quei 12 km di salita che in discesa ci erano parsi molto facili, in effetti, dopo il bivacco sono più duri del previsto. Pochi km, poi le gambe riprendono il loro giro. Ripercorriamo la medesima strada, arrivare a Porto è un baleno, il contachilometri segna 133.
La sera dopo un piccolo riposo scendiamo al porto, ci sono vari localini e pizzerie, optiamo per una pizzeria, un primo e una pizza, prezzo abbordabile. Domani altra tappa impegnativa, fino all’Ile Rousse km 107, non molti ma una serie continua di saliscendi mozza gambe e poi ,ovviamente, si ritorna in compagnia dei nostri bagagli.
Quella notte sognai la mia bella Merak ricoverata in ospedale, la stavano ingessando però gli infermieri avevano delle facce strane, sì, in effetti quando aprivano bocca, dai loro grugniti mi resi conto della loro natura.
17 Giugno
8° Tappa
Porto-Ile Rousse km 107
Oltre ai nostri amici ritrovati: i bagagli, anche 12 km di sterrato pieno di ciottoli
Dopo una colazione normale in quel di Porto si parte per una tappa impegnativa, prima nell’ interno, media montagna con Bocca la Croce e Bocca Palmarella, poi tutta lungo costa con a sinistra gli splendidi colori del mare di Galeria, Punta Ciuttone, Capo Cavallo, Calvi. La strada comincia subito a salire, poi verso Partinello il primo intoppo, vediamo camper fermi, ciclisti a piedi, che succede?
Ci sono lavori in corso per 12 km, la strada è sterrata per tutti quei chilometri, non è possibile ! Parliamo con dei ciclisti che provengono in senso inverso, loro hanno forato due volte ciascuno, pur facendo a piedi quasi 6 km. Che fare? 12 km a piedi sono troppi. Il marocchino si rifiuta di andare avanti, ci vuole una via alternativa, guardiamo la carta, non esiste nessun altra strada se non quella di ritornare a Porto, risalire il Vergio ,riscendere a Ponte Leccia, per poi, tramite la provinciale, arrivare all’Ile Rousse, troppi km e poi salterebbe il programma del giro completo dell’isola. Pensiamo anche ad un passaggio che potremmo ottenere da qualche camperista.
Ma non si può tentare ? pian piano, un po’ a piedi un po’ in bici, in poco più di un' ora si può ritrovare l’asfalto. Il marocchino è titubante soprattutto per il pensiero di dover impolverare tutta la bici ed il suo beaty case, l’ unico che non ha problemi con la sua mountain bike è l’ inglese Fabio, anzi finalmente ecco una ragione per attenuare il suo continuo rammarico di non aver voluto portare la bici da strada. Decidiamo per il tentativo. Ci buttiamo nello sterro, sganciamo ovviamente le scarpe dai pedali, gli altri ci guardano come eroi in procinto di affrontare una prova al limite dell’umano, con tutti quei bagagli, quei ciottoli e quei camper che alzano la polvere. In effetti la strada è molto mal messa, anche se cerchiamo di andare a trovare i passaggi più consoni alle due ruote, rischiamo spesso di volare in terra.
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Dopo un km io sono già in ultima posizione, l’inglese ha preso il volo, anche il marocchino e Bugno, che hanno evidentemente più doti da equilibristi, mi hanno staccato. In effetti io procedo molto piano, a volte scendo e faccio dei pezzi a piedi. Nel ripartire mi trovo sempre in difficoltà con gli attacchi, voglio che i tacchetti restino sganciati e non è facile tenere la scarpette ferme sui quei cinque centimetri, alla fine decido di togliermi le scarpe. Le metto sotto l’elastico del portapacchi, poco dopo vedo sul lato della strada una striscia di asfalto per lo scolo delle acque, è molto stretta, saranno 10 cm. Provo a immettermi sopra e procedere su quel minuscolo percorso, in effetti, non è semplice portare la bici, è quasi impossibile trovare l’equilibrio. Decido allora di procedere a gambe larghe non pedalando, ma spingendomi ora con il piede sinistro ora con il destro. Per 2 km continuo arrancando in questo modo, riesco perfino a riagguantare Bugno, l’ inglese sarà ormai arrivato alla fine dei 12 km. Franco mi guarda e mi vede scalzo- Ma dove hai messo le scarpe?- sono sul portapacchi. Ma dove? Lì non ci sono, maledizione le ho perse! Mi tocca ritornare indietro, meno male che dopo appena 500 metri salvo una scarpina appena in tempo prima che un camper me la stia per distruggere con una ruota. Chissà quanti km mi toccherà ripercorrere per ritrovare l'altra? un ciclista in mountain bike mi vede da lontano, capisce che sono alla prese in una affannosa ricerca, mi agita la mano, ha qualcosa, una scarpetta viola, la mia scarpetta, finalmente! Ripercorriamo qualche km insieme, poi lo ringrazio e lo saluto, la sua andatura non è a me consentita. Ritrovo Franco, la strada è meno dissestata però adesso siamo in salita, una macchina ci dice che mancano ancora 5 km. Arriva un auto a tutto gas, ci impolvera ancora di più, ovviamente alla madre del conducente saranno fischiate le orecchie. Adesso procediamo piano ma ad una velocità costante, forse ci siamo abituati anche a questo tipo di strada. In cima ad un cucuzzolo vediamo ciclisti, camper, auto fermi. Evviva riinizia l' asfalto. Ritroviamo i nostri due compari, alcuni turisti ci applaudono, vari ciclisti ci chiedono in varie lingue come è la strada e quante volte abbiamo forato. Sembra impossibile ma in quattro nessuna foratura! Un miracolo o le nostre gomme pesanti? Ora è un piacere riprendere a pedalare sull’asfalto e poi dopo una sofferenza tutto è più bello, poi adesso c’è una bella discesa anche se poi inevitabilmente..
Bivio per Galeria, noi attraversiamo un torrentello. Al bivio io dico –a sinistra- anche se l’indicazione per Calvi è a destra- Si fa la litoranea- ovviamente, anche se si ricomincia di nuovo a salire per Bocca Bassa, una strada sconnessa e stretta stretta, ma con un panorama mozzafiato. Si sale e si scende in continuazione, spesso il vento ci aiuta, il più delle volte ci danneggia, lo strano è che lo troviamo contrario sempre in salita.
La fatica comincia a farsi sentire, meno male che almeno lo spirito è sollevato dalla visione di quel mare cristallino e da quelle baiette, ma quando decideremo di farci un’altra giornata di mare con tanto di bagnetto e riposino in una di queste splendide insenature? Arriviamo a Calvi, una visita in una patisserie, poi un po’ di frutta nel solito Spar, una visita veloce alla città. Troppa confusione, io vorrei subito uscire da quelle strade piene di macchine, l’inglese gradirebbe andare a vedere qualcosa di interessante nel centro.
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Una visita veloce alla piazza centrale e alla cattedrale, poi una foto in un punto panoramico e si riparte. Parecchio caos turistico, eravamo troppo abituati ai luoghi solitari, silenziosi, privi di qualsiasi odore di benzina e di umani. Rimontiamo in bicicletta ma quei 24 km fino all’ Ile Rousse sono di strada provinciale, unico collegamento fra i due centri turistici, le auto, camper, motociclisti ci accompagnano per tutto il tragitto. Siamo nella parte turisticamente più sfruttata e accettiamo malvolentieri queste compagnie di motori. Quando arriviamo a l’Ile Rousse sono le 17 e i km sono 107, non molti ma abbastanza tormentati. Andiamo subito a cercare l’hotel Grillon, rinomato dai ciclisti su Internet . Lo troviamo subito e ci accettano molto simpaticamente. Ci fanno presente che non c’è nessun problema per la sistemazione. Non hanno camere libere ma hanno varie soluzioni. Il prezzo è abbastanza contenuto, si tratta solo di pernottare in un appartamento lì vicino e poi per la colazione ed eventuale cena andare in hotel. Ci va benissimo e fissiamo anche la cena. Una signora ci porta a visionare la nostra dimora. E’ molto ampia, ci sono addirittura 4 camere, poi uno spazioso giardino pieno di gattini di tutti i colori. Inizia il solito rito di sbaragliamento e di invasione dei letti con tutte le nostre cianfrusaglie. Stasera ci tocca fare anche il bucato, in effetti la soluzione è perfetta, fuori ci sono anche dei fili attaccati a due alberi. Dopo un’oretta sono tutti occupati con magliette, mutande, calzoncini, calzini, gocciolanti, ancora non abbiamo imparato che i panni prima di stenderli bisogna strizzarli molto bene.
Ogni tanto si vede arrivare un nuovo gatto, sono una decina appena nati che ora stanno giocando ora si fermano e ci guardano, prima un po’ sospettosi, poi si avvicinano per farsi accarezzare. Purtroppo con tutti quei gatti a giro.. tocca a Franco pestare qualcosa delle loro emissioni. Ce ne rendiamo conto più tardi quando nelle nostre camere sentiamo uno strano odorino. L’Inglese è piazzato sul letto, sta analizzando le sue cartine, anch’io sto osservando le mie. –Certo dico.-essere qui e lasciare inesplorato il Monte Cinto -. L’inglese alza lo sguardo dai propri fogli – E’ proprio quello che stavo pensando anch’io-. Viene deciso di restare un giorno in più al Grillon, in modo di fare un fuori programma nella valle dell’Asco. Andata e ritorno per arrivare alla fine della strada asfaltata portano a incrementare il contachilometri di 155 unità. Il marocchino, che aveva già manifestato un po’ di nausea da bici, si rifiuta categoricamente di incrementare il proprio chilometraggio- Io ho già deciso-domani resto quà-faccio il turista e mi becco una giornata di sole e mare, ho bisogno di riposo, soprattutto mentale. Allora solo in tre per l’Haute Asco altitudine 1450, cime innevate, si spera almeno. L’idea di toccare la neve su quelle cime che più volte avevamo visto in lontananza, ci eccita. L’unica cosa che ci disturba è fare la stessa strada sia all’andata che al ritorno, e poi quella strada segnata di rosso sulle cartine e quelle diritture prima di arrivare nella vallata. La cena non è male, dopo pochi minuti i cinque panini che ci hanno portato in un vassoio di vimini, sono già finiti, eppure quì sono abituati spesso ai pranzi dei ciclisti. Ce ne portano un altra cesta ma anche questa prima di passare al secondo è già vuota. Ci fanno presente che non hanno più pane. Dai nostri sguardi capiscono immediatamente che la cosa è gravissima. Un cameriere esce di corsa dall’ hotel. Ritorna dopo poco con una montagna di panini- Ce l’ ho fatta-ci dice a trovare una boulangerie aperta. Non importa nemmeno ringraziarlo perché soltanto dai nostri occhi ha capito che la cosa è stata alquanto gradita e il ringraziamento è ben visibile nel modo con cui ci avventiamo su quei panini.
Quella notte sognai che, scalzo, in mezzo al deserto, ero alla ricerca affannosa di un paio di scarpe. Quando mi sembrava di averle ritrovate, improvvisamente un vento tropicale alzando la sabbia delle dune me le ricopriva, dunque tutta la notte a fare buche!
18 Giugno
9° tappa
I'le Rousse-Monte Cinto e ritorno -km 155
La valle dell’Asco e il Monte Cinto, qualcuno però è spaparazzato al sole su una spiaggetta a l’Ile Rousse
Siamo solo in tre per questa tappa fuori programma. Il marocchino non ci invidia, la sua decisione è stata netta e ponderata, oggi riposo! Ricca colazione, con pane in abbondanza. Ci facciamo subito i trenta km che ci portano quasi al bivio di Ponte Leccia, strada abbastanza transitata, ma l ’idea che alla fine di questo tratto entreremo nella bella vallata dell’ Asco ci fa superare il disagio per le strombazzate dei camion, auto e camper. Ci superano una cinquantina di moto, sono cinquanta clacsonate di saluto. Ovviamente senza bagagli e con la strada un po’ vallonata ma senza lunghe salite, facciamo una buona media. Si trova finalmente l’imbocco alla valle, una stradina stretta con il torrentello al lato che ci accompagnerà fino al paesino di Asco. Dai primi km sembra quasi una ripetizione della Restonica. I primi commenti concordano sulla classifica in fatto di bellezza, ovviamente vince la Restonica.
La salita per i primi km ha delle pendenze intorno al 2 %, quindi saliamo tranquillamente, nei pressi di Asco siamo ai 620 di alt., nell’interno del paese e per altri 4 km le pendenze superano il 6%, poi un altro recupero e infine i 4 km finali con percentuali dall’8% al 10%, molto impegnativi. Si arriva soffrendo abbastanza ai 1450 metri del rifugio di Haute Asco, da lì partono i sentieri per la vetta del Cinto, la stazione sciistica sembra che neanche d’inverno sia funzionante.
Non e' la foto fuori fuoco ,e' colui che l'ha scattata che aveva annebbiata la vista dalla fatica
La neve è lì dietro di noi, la possiamo quasi toccare, siamo stati fortunati che quest’anno non è stato particolarmente caldo e il manto nevoso ha resistito fino al nostro arrivo. Il panorama è abbastanza chiuso, solo da un lato si scorge uno scorcio di vallata, dagli altri lati siamo circondati o dalle vette innevate o da altre sporgenze che essendo a solatio sono già nude di neve e ci appaiono un po’ cupe, d’altra parte la caratteristica di questo monte sono proprio queste vette un po’ particolari, irregolari e dall’aspetto un po’ tetro. Non può mancare la rituale foto sotto il cartello dell’altitudine. Alcuni turisti ci chiedono da dove veniamo, qualcosa borbottiamo come risposta, non so se ci hanno capito o hanno fatto finta di capire. Ripercorrere in discesa la vallata è una meraviglia.
Il fondo è ottimo e anch’io che non sono un discesista riesco a tenere la scia di Bugno e dell’inglese Fabio che in testa pennella, da vero professionista, le curve in modo esemplare.
![](https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjntDrGzYqhBwwHNMEL-X1mNq4RKlw2n_ngVPlD8EN3uMrXqOiDES5kf_8QK5LIJSlbW6wK4YOodv1QhrY5fPyr1r1vcAk-rQZx6VwJAoqEldAL9MKXntDzBWZYYDyW4iuie8E5ChOG_6I/s1600/clip_image039.jpg)
Per il ritorno, dopo l‘entrata sulla provinciale, optiamo per non ripercorrere la stessa strada della mattina ma per passare da una strada interna che sulla carta ci sembra più simpatica e meno transitata. E’ quella che porta a Pietralba e poi si ricongiunge ai piedi della salita della Bocca di Vezzu, la strada che dovremo fare il giorno dopo per entrare nel famoso deserto des Agriates. La strada è abbastanza larga e sembra un autostrada, lunghi rettilinei in discesa, quasi assoluta mancanza di traffico, ci permettono di fare delle tirate a 50 all’ora. Cambi regolari e via a tutta, su questo percorso, per volare ancora di più, ci avrebbe fatto comodo questa volta anche il peso dei bagagli. Rientriamo sulla litoranea e gli ultimi 20 km si fanno sentire. Ricominciano quegli strappetti che danno molta noia ai ciclisti soprattutto dopo 140 km e dopo aver pedalato per quasi un ora e mezzo in discesa.
Finalmente arrivati. Ritroviamo Giampa, il marocchino si è goduto una giornata di mare e riposo. Adesso, dopo il resoconto che gli facciamo, sembra dispiaciuto di aver abdicato. Doccia, riposino, piccola passeggiata e l’ultima cena al Grillon. Pane a volontà, antipasti, schiacciatine calde crepes e carne di maiale. Ottima cucina, simpatia del personale, i ciclisti di Internet avevano visto bene. Pernottamento da consigliare. Dopo cena facciamo due passi verso il porto, da lì si vede l’isoletta rossa(!) che dà il nome alla località turistica. Prima di dormire io e l’inglese riguardiamo le cartine, la tappa del giorno dopo è abbastanza da improvvisare. Avevamo quasi deciso di ridurre un po’ i chilometri per poter fare anche noi tre una giornata di mare e recuperare energie, dopo quella tappa di 155 km.
Sopra di noi c’è una zona molto bella, una di
quelle
zone che a me in particolare piacciono moltissimo: la valle del Giussani, luogo di paesini sperduti incastonati sulle pendici del Monte Cinto, dal lato Nord, quello opposto alla vallata dell’Asco. In effetti dai resoconti di turisti avevo già scoperto nella rete il fascino dei paesini di Olmi-Cappella, Vallica, fra il monte Tollu e il monte Padru. Paesini ancora abitati ma con quattro o cinque famiglie per paese, una chicca da immortalare. Convinco i miei compari a tentare di fare un giro in quelle zone, si tratta di fare un anello sopra all’Ile Rousse per poi rientrare sulla litoranea, un anello impegnativo di una quarantina di km. Addio bagnetto dunque anche per la successiva sera.
19 Giugno
10° Tappa
I’lle Rousse Nonza - 90 km
La strada sbagliata, il deserto, la spiaggia nera , bagnetto con menù di meduse
I miei compari cominciano subito a esprimere i loro dubbi su quel nuovo percorso modificato. Fra una marmellatina ed un'altra mi fo coraggio- Ormai abbiamo deciso –Quella voglia di toccare quei luoghi sperduti è superiore ad un mal di gambe che i km di ieri mi hanno lasciato. In effetti quando si arriva a questo punto, dopo 10 giorni di pedalate, quasi 1300 km, oltre alla stanchezza, comincia a farsi largo anche un pò di nausea da bici. Forse aveva fatto bene il marocchino a riposarsi per un giorno, oggi infatti è di nuovo pimpante e voglioso di pedali.
Cominciamo subito a salire verso Corbara, poi, Feliceto, Nessa. Stiamo tutti in silenzio, la giornata, soprattutto psicologicamente, non è delle migliori, le gambe non girano, sento i miei compari che stanno mugugnando. Nessun vuol dire -basta salite, torniamo sulla litoranea -. Quei crocicchi di strade e stradelle ci vengono in aiuto. Al bivio per Speloncato prendiamo verso Costa invece di dirigersi in direzione del primo paesello sperduto. Ce ne accorgiamo quando ormai siamo di nuovo sulla provinciale. Che fare? tornare indietro. Mi piacerebbe farlo, ma non oso chiederlo, -sarà per un altra volta-quando ritorneremo, ma ritorneremo per fotografare Cappella ? Le otto gambe con i rispettivi muscoli hanno ringraziato per questa scelta sofferta ma in fondo voluta da tutti.
Ricominciamo a scherzare e a ripedalare con voglia, per forza siamo in discesa! Siamo di nuovo sulla litoranea, la strada però ricomincia a salire ,fra non molto ci aspettano quei venti km di deserto, le desert des Agriates, con la salita impegnativa alla Bocca di Vezzu, 429 di altezza. Superiamo la Peraiola, sarebbe bello fermarsi in quella baietta, poi Ogliastro, ecco il bivio, per Saint Florent ci sono 23 km, senza un paese, una casa, un albero.
Il Vezzu si fa sentire pur non essendo una salita impossibile, è caldo, solo rocce che riflettono il sole, all’orizzonte ancora rocce, un camperista ci sorpassa , ci lancia tre suonate di incoraggiamento.
Superato il Vezzu si entra proprio nel cuore delle Agriates, un vero deserto di caldo, i raggi del sole riflessi su quel pietraio sembrano frecce che ad ogni curva si abbattono violentemente sui nostri caschi e i nostri telai. E’ dura, ma lo spettacolo è molto bello e particolare. Procediamo molto lentamente e non diciamo niente. Il marocchino è molto più avanti, poi io e Franco, poi più indietro l’inglese Fabio che sembra soffrire più di tutti con la sua pesante mountain bike e il suo guardaroba, si fa coraggio urlando frasi incomprensibili, forse sono accidenti rivolti a sè stesso per non aver optato per la bici da strada, non sembra più un inglese ma un indiano, la sua faccia è completamente rossa.
Finalmente il golfo di St Florent appare fra due gruppi di rocce, evviva inizia la discesa. L’inglese ci passa tutti e si butta giù a sessanta all’ora, con il vento della discesa vuol abbandonare immediatamente l’aspetto da indiano e ritornare anglosassone
Un rifornimento nella località turistica, solito cornetto e caffè, è ancora presto e decidiamo di allungare e fare tappa a Nonza, per le 16 forse siamo arrivati e immediatamente ritorna l’ idea di un bagnetto su una spiaggietta. Si riparte quasi subito. Iniziamo il Dito corso lato ovest. La strada è molto bella e panoramica. Senza neanche accorgersene, vediamo da lontano un paesino arroccato su un promontorio, sì, è Nonza fra qualche km ci siamo. C’ è una simpatica chiesina in piazza del paese, intanto, oltre alle bellezza di tale chiesa, abbiamo adocchiato già una pizzeria ed un ristorantino, non si sa mai, e poi via alla ricerca di un letto. Ci sono dei cartelli-chambres libre-. Percorriamo una stradina stretta, notiamo uno scorcio di mare, la famosa spiaggia nera, c' è un notevole dislivello per raggiungerla, dall’alto è uno spettacolo, si notano innumerevoli scritte sulla spiaggia, non ci rendiamo conto del modo con cui sono state pennellate. Troviamo la sistemazione, due stanze ben curate, panoramiche, solo posto letto. Va bene così, la colazione l’ indomani mattina la faremo fuori. Le bici ce le fanno mettere in un garage un pò più lontano dalle camere, sulla strada principale. Dalla finestra della mia camera si vede un bello scorcio della baia, un albero, che interrompe la visuale del mare, mi incita subito a fare una foto. Ci vestiamo da bagnanti, senza dire niente ma abbiamo già deciso di andare a mettere le chiappe sulla sabbia nera. In effetti scendere giù nella baia è una bella impresa, ci sono quasi 100 metri di dislivello, il pensiero è quello di dover poi ritornare su. Arriviamo sul mare, vediamo che la sabbia in fondo non è sabbia ma tutti sassolini granitici neri e che le scritte sono state fatte con dei sassi bianchi. Non c’è nessuno, qualche costruzione diroccata, qualche capanna, forse in piena estate adibita a posto bar. Ci stendiamo e le gambe incazzate per quel supplemento di fatica –dopo le pedalate anche il treking- sembrano ringraziarci per quel calore che viene da quelle pietroline. Un po’ di chiacchiere, io mi decido, voglio fare un bagnetto.
L’ acqua è molto fredda e per di più sulla spiaggia si vedono delle meduse uccise. Lì dove siamo il fondale è subito profondo, in lontananza, all’inizio della baia ci sono degli scogli, l' acqua è più cristallina ed è più facile localizzare la presenza di quelle bestiacce, mi sorbo altri 300 metri di camminata che fra quelle piccole pietre non è il massimo del piacere. Mi tuffo, l’acqua è freddissima ma poco dopo quella sensazione scompare ed è piacevole fare una nuotatina, faccio dei segni ai miei compari per dire che in fondo non è male, ma niente, se ne restano a bivacco. Cinque o sei meduse lì vicine non mi fanno pensare due volte ad uscire. E’ dura ritornare sù, ormai però è l’ultima fatica della giornata. Ci aspettano a questo punto solo una doccia, una buona cena e una ricca dormita. Ci sono solo due luoghi per mangiare, una pizzeria e un ristorantino. Entrambi i menù più o meno fanno sparire dalle tasche 20 euro cadauno, siamo incerti. Franco ha già adocchiato nel ristorantino più simpatico una discreta cameriera brasiliana, però in fondo il luogo ci sembra un po’ troppo sofisticato, ai tavoli ci sono molti fichetti e decidiamo per la pizzeria. Scegliamo il menù turistico per 20 euro, ma rimaniamo delusi, non per la quantità ma per la qualità e un cameriere alquanto scostante. Almeno di là l’eventuale cibo scadente sarebbe stato compensato dalla visione delle forme rotondeggianti della bella cameriera.
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Sono le 22, dalla terrazza di Nonza la chiesetta è illuminata da una luce artificiale, la baia invece dalla luna, il mare calmissimo riflette la stessa luminosità, la spiaggia nera è adesso più nera, c’è una luce laggiù, qualcuno sembra stia piazzando una tenda per passare la notte. Non lo invidio per niente, sentiamo i nostri letti che ci chiamano come sirene. Solo uno sguardo dalla finestra per un ultima osservazione del mare tagliato in due dal ramo di quell’albero, poi il miracolo di quel letto..
20 Giugno
11°tappa
Nonza-Bastia km 108
Dalla nausea per la bici all’agonismo puro
La mattina attendiamo più di mezzo’ora prima che una signora, la madre della proprietaria. dell’hotel venga ad aprirci il garage, prigione delle quattro bici. Il marocchino ha un triste sospetto, lui ha utilizzato un letto che non dovevamo disfare in quanto la cifra era per due letti matrimoniali, e lui ha dormito da solo in un singolo; malgrado la sua cura nel togliere tutte le pieghe e pieghette, forse la signora se ne è accorta. Abbiamo già saldato il conto ma adesso probabilmente attende che ritorniamo indietro a prendere le chiavi del garage e pagare la differenza. Finalmente arriva la madre tutta trafelata, il Giampa sta per dire –sà, ma non riuscivo a dormire con accanto quel russatore (a parte la difficoltà di traduzione del vocabolo –russatore- in lingua francese) però è preceduto da uno - Scusate ma prima ho ricevuto una telefonata poi me ne ero completamente dimenticata- Meno male !
Siamo rinfrancati dopo questa prima prova superata, oggi è l’ultima tappa, tutto il Dito. Dopo una ricca colazione in uno Spar, ci rendiamo subito conto che la giornata non inizia bene. Le gambe sono svogliate, pedalare è quasi uno stress. La strada è interessante, in alcuni punti abbastanza ombrosa, si trovano spesso dei paesini con fontane, sulla sinistra il mare, i suoi colori ci accompagnano sempre. Viaggiamo quasi sempre più alti rispetto alla scogliera e non ci sentiamo per niente a disagio per alcuni punti a strapiombo, ormai dopo una settimana, mi sono abituato anch’ io che in genere soffro di vertigini. Il problema è che siamo quasi sempre fermi, o per prendere l’ acqua dalle fontane che in questa zona ce ne sono moltissime (alla barba dei cimiteri) o per fare rifornimento di frutta. C’ è nell’aria poco desiderio di far girare la moltiplica ma parecchia voglia invece di mangiare. Forse siamo a corto di zuccheri. Ogni supermercato ci attira, più di una fermatina per un dolcino, dell’uvetta secca, delle noci sbucciate, una banana, delle susine. In effetti è una giornata particolare. Sì, la nausea della bicicletta ormai ci ha preso tutti. Dei bei panorami, del bel mare ne abbiamo fatto ormai una scorpacciata, in queste prime ore di questa mattina il nostro unico desiderio è arrivare a Bastia. I paesini di Marinca, Minerviu, Pino vedono passare quattro ciclisti con tanta frutta in corpo e nei loro sacchetti di plastica, ma ormai alla frutta. Ora resta indietro uno, ora l’altro, sembrano abbastanza sbandati, dall’andatura nessuno crederebbe mai che questi raccattati abbiano fatto il giro completo dell’isola e non solo. Finalmente la svolta, c’è il bivio per Macinaggio, per la costa est, ma anche l’indicazione per Cap Corse, un anello di 10 km che permette di arrivare, prima alla punta del Dito e poi rientrare sulla provinciale. Che fare? Improvvisamente all’ unisono- direzione Cap Corse- Si comincia a scendere e forse per questo siamo più felici, ma in fondo abbiamo ripreso ad essere i quattro dell’inizio tour, di colpo è sparita la nausea da bici. Arriviamo proprio sulla punta, c’è molto vento, possiamo vedere sulla destra Capraia e l’ isola d’Elba. Appoggiamo le bici e cominciamo a fotografare. Improvvisamente un cattivo colpo di vento e di nuovo la mia bella Merak va per le terre. Un’altra ammaccatura ma questa volta me ne dispiace un po’ meno, in fondo era stata già sverginata sul col de Vergiu. Ripartiamo con una bella salita per rientrare sulla provinciale.
Saliamo molto bene, agili ma con un buon ritmo di pedalata. Che l’avrebbe mai detto di un recupero così netto dopo quei tristi chilometri cammellati di inizio mattinata.
Alla baia di Macianaggio ci fermiamo per il solito gelatino e caffè. Ripartiamo a tutta, la strada si presta a delle scorribande, il vento è lato. Il marocchino inizia il suo forcing, poi incominciamo a darci i cambi regolari, passiamo velocemente da varie marine, località molto turistiche.
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Da questo lato niente mi sembra eccezionale, nè il mare, nè la costa, non so se è veramente così oppure soltanto una mia sensazione. Quindi niente foto, niente distrazioni per qualcosa da ammirare, solo lo sguardo incollato al tubolare del compagno e pedalare, pedalare.. in fondo è la prima volta che tutti e quattro ci comportiamo da cicloamatori e non da cicloturisti. Il traffico ci preannuncia che siamo vicini a Bastia. Avevamo deciso alla partenza che per l’ ultimo giorno avremmo dovuto trovare una bella sistemazione, un alberghetto con piscina. Non ce ne ricordiamo per niente, siamo troppo presi dalla nostra ritrovata andatura. Nel centro di Bastia telefoniamo all’ hotel che ci aveva ospitato il primo giorno ma non ha camere libere, che fare? andare in periferia o sistemarsi in centro? Decidiamo di optare per una sistemazione in città. Gironzoliamo con le nostre bici in mezzo al caos di Bastia, sarei tentato di uscire da quella bolgia ma ormai abbiamo deciso. Pernottare in centro, in fondo è molto più comodo per fare due passi in città dopo l’ultima cena, e non è poi male una mezz’oretta in più di dormita l’indomani mattina. Vedo un indicazione di un albergo a due stelle. Vado a sentire, devo fare varie rampe di scale. Hanno camere libere e la spesa 20 euro cadauno. Comunico agli altri la notizia-non è niente di eccezionale- tutt’ altro. Nessuno ho assolutamente voglia di andare a pellegrinare ancora per trovare un letto, accettiamo quella sistemazione. Anche tutte e quattro le bici e i bagagli salgono al quinto piano, senza ascensore! Appena fatto cinque passi dopo l’ entrata ci accorgiamo subito in che genere di hotel siamo capitati. Dopo avere pagato in anticipo le due camere, abbiamo notato un andirivieni di persone di sesso diverso e dall’aspetto sicuramente non danno l’ impressione che abbiano scelto una camera per riposare. E poi, dopo aver visto i bagni e i letti .. c’è polvere, sporco e laniccio da tutte le parti. Che fare? Ormai, in fondo si tratta solo di una nottata. Se avessimo saputo che, durante la notte quello andirivieni fosse continuato, che rumori di ogni tipo, dal traffico della strada sottostante a litigi vari provenienti da altre stanze, e se avessimo visto la mattina successiva vicino alle nostre bici due brutti ceffi con dei coltelli in mano insieme ad una ragazza suopersiliconata e supertruccata, probabilmente avremmo risceso le scale, con tutti i nostri zaini, borsette e bici, per andare altrove.
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La sera siamo andati ad un localino del porto, non il medesimo dell’andata. Siamo stati attrirati, questa volta da una ragazza molto giovane, che ci ha invitati a sedersi ad un tavolo. In fondo il prezzo è accettabile e il menu più che decoroso. La visita alla città è molto breve, siamo cotti e la stanchezza ha prevalso sulla poca voglia di rientrare in quelle camere sporche, con tutti quei magnacci e mignotte intorno.
Finalmente, dopo una scorpacciata prima in una boulangerie poi in una patisserie, tutte le beghe dell’imbarco, solite code, soliti motociclisti,trovare il posto per le bici, sistemarle, rismontare i nostri zaini, cambio di scarpe, siamo finalmente a bivacco su quattro sdraie sul ponte della nave. Si parte, addio Corsica, è stato bellissimo ma adesso sogniamo Firenze e le nostre famiglie. Il senso di lontananza e la fatica si sono attenuate dopo il rumore della partenza.
Quel solicino, quella brezza marina, quelle gambe distese, quella pace ci fanno ritrovare nei nostri pensieri tutte le sensazioni vissute in quei quasi 1500 km, in quegli 11 giorni di permanenza in terra corsa. Ho tanti pensieri in testa, tante sensazioni bellissime che mi accompagneranno per tutta la vita, sto cullandomi in quelle sensazioni..vedo in miei compari che dalle facce sembrano essere nel mio stesso stato di beatitudine .. poi tutto svanisce. Sento il rumore della nave, sta attraccando, siamo già arrivati a Livorno, mi son fatto, anzi ci siamo fatti una bella dormita.
21 Giugno
12° tappa
Livorno -Firenze km 105
L’ultimo odiato percorso
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Dopo il giro dell’isola francese quella del ritorno da Livorno a Firenze dovrebbe essere una passeggiata. Invece no, l’uscita dal porto ci porta sempre fuori strada, le strade sono super transitate, tutta pianura, e poi quella infernale e pericolosa dirittura dell’ Arnaccio sotto il sole. E’ stato un calvario per tutti, ci siamo fermati tre volte per l’acqua, poi a Pontedera un ’altra fermata per ancora della frutta. Finalmente Empoli e poi Montelupo. Lì, io avrei dovuto lasciare gli altri per dirigermi verso San Casciano passando da Cerbaia. Invece no, dopo la foto nella solita piazzetta di Montelupo, nella stessa posizione dell’andata, ma con facce e gambe sicuramente diverse da quelle di 13 giorni prima, decido di accompagnare i miei compari verso Firenze e tagliare per San Casciano da un’alta strada interna, dopo Lastra a Signa. Lo so che c’è un km con una salita al 18% ma ormai niente fa più paura. Saluto tutti, ci sentiamo, le foto, i resoconti, -ognuno tiri fuori dalle proprie macchine fotografiche il meglio che poi facciamo un Cd riepilogativo-. Prendo la stradella da solo, vedo tutte e tre le biciclette allontanarsi con tutti quei fardelli, in queste strade sembrano abbastanza buffe , e pensare che prendevamo sempre in giro tutti quei ciclisti stranieri che spesso superiamo nelle nostre colline del Chianti e che, pedalando sempre agilissimi, sommersi dalle loro borse, sembrano non muoversi mai. Le pedalate dei tre sono diverse, sono più professionali, in fondo i tre provengono da un'altra scuola, quella del cicloturismo, cicloturismo sì, ma cicloturismo..evoluto anzi, dopo questa esperienza, superevoluto !
Arriva la pendenza al 18%. Per un momento penso di farcela, invece no, mi tocca improvvisamente scendere, continuo a piedi in mezzo a questa stradina asfaltata in mezzo ai campi. Vedo il campanile della chiesina che si trova in cima al pezzo terribile. Chiudo gli occhi e procedo ad occhi chiusi, rivedo le Calanche, le desert des Agriates, la spiaggia nera di Nonza, i maialini, i cavalli, le foreste, le vette innevate del Cinto, le acque cristalline delle baiette di Ajaccio, sento il rumore del torrentello limpido della Restonica. Improvvisamente mi sento suonare, sta passando un auto e io sono in mezzo alla strada, ha ragione, ma accidenti! mi sentivo così bene in mezzo a quella natura corsa e a quei dolci rumori, mi accosto alla strada e riapro gli occhi. Vedo il cielo limpido, una distesa di olivi alla mia sinistra, a destra una vigna, la chiesina è di fronte a me, un raggio di sole sbuca dal campanile, un ciclista sta scendendo, mi saluta, improvvisamente suonano le campane. In fondo mi sento bene anche qui..forse adesso anche meglio..
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